Erano esattamente le ore 1.30 del mattino di venerdì 13/07/1982 quando siamo partiti all’avventura per coronare finalmente un sogno rincorso da molto tempo: Pescare a mosca su fiumi al di fuori dei confini nazionali. Eravamo pronti, il momento magico era giunto, le condizioni fisiche ed economiche lo permettevano, i tempi erano maturi per iniziare questa prima avventura, insomma, la voglia di fare una “zingarata” era presente costantemente nei nostri pensieri. La destinazione era Il fiume Gacka, il chalck stream più famoso d’Europa per i pescatori a mosca, di selvaggia e rara bellezza, situato a 270 Km. da Casarsa della Delizia in provincia di Pordenone, in Yugoslavia e precisamente a Licko Lesce, a 50 Km. all’interno da Senj, piccola cittadina di stampo veneziano sulla costa dalmata, sono bellissime le sue calli e il castello che domina la cittadina dall’alto del suo colle. Eravamo in tre: il rag. Giovanni, Egidio ed io, saliti sulla mitica Lancia Prisma di color canna di fucile, ci accingevamo per la prima volta, con pochissima esperienza piscatoria a uscire dai nostri luoghi comuni, per avventurarci in un qualcosa di più grande a noi allora sconosciuto. La scelta del fiume Gacka non fu per caso, lo si conosceva solamente tramite la rivista Pescare e soprattutto grazie agli articoli di Francesco Palù, che ne decantava le proprie esperienze e metodi di pesca, tutto correlato di foto bellissime che lo ritraevano in un modo molto invitante. Data poi la distanza e il cambio a noi favorevole fra il dinaro e la nostra lira. Giovanni il più girovago di noi tre, mesi prima si era fermato una notte all’Hotel Gacka, di ritorno dai laghi di Plitvice e non faceva altro che raccontare quello che aveva visto lungo le sponde del fiume. Dalla sua esperienza vissuta fece scattare in noi il desiderio di frequentare posti nuovi, che in seguito ci accompagneranno in giro per i fiumi di mezza Europa. La decisione di partire fu presa davanti ad una pizza una sera d’inizio giugno al ristorante “Al 900” di Casarsa. Come di solito ogni venerdì sera ci s’incontrava per organizzare le uscite di pesca del sabato o della domenica. Da oltre cinque anni, in quel periodo, ci si dedicava alla pesca a mosca, con risultati soddisfacenti, questo era quello che pensavamo, anche dal fatto che le catture, soprattutto trote, le prendevamo senza tanti patemi, i nostri campi di battaglia erano le rogge e le risorgive della provincia di Pordenone. Solo il ragionier Giovanni aveva partecipato a un corso di pesca a mosca, organizzato da Giovanni D’Este proprietario di allora del negozio ERREPI a Udine, mentre Egidio, il grande vecchio, è il più anziano di noi tre, un autodidatta che per primo ha avuto l’onore di possedere la prima canna di pesca a mosca tramite un regalo, anni addietro, in bamboo refendù. Le capacità e le conoscenze di Egidio sono innumerevoli, su tutti i campi, dalla caccia, alla pesca, ai funghi, gran conoscitore di piante, fiori, animali e per finire ha un debole per le donne, insomma un guru( termine sancrito che presso la religione induista ha il significato di maestro o precettore spirituale), dove tutto quello che so, è per merito suo, è stato il mio maestro di vita nell’ambito della pesca e dei funghi, gli sono veramente riconoscente. L’idea di diventare pescatori a mosca era stata di Giovanni, che, all’insaputa di tutti, ha partecipato al primo corso tenutosi a Udine. Uno dei tanti motivi che l’ha spinto a fare il corso era anche quello che gli fa schifo prendere con le mani i vermi per l’innesco. Egidio che in quel periodo sapeva lanciare benissimo, riusciva, con gran meraviglia di tutti a saper fare il tutto fuori coda dal mulinello, però non andava mai a pescare con questo nuovo, per noi, sistema di pesca. La voglia di provare nuove tecniche di pesca diverse da quelle tradizionali, esche naturali e cucchiaino, era un modo per evitare che la nostra pesca diventasse la solita solfa e poi in Friuli la pesca a mosca in quegli anni stava facendo passi da gigante, ed era anche un motivo di orgoglio far parte dell’èlite della pesca con la canna. Un modo come un altro per distinguersi dagli altri. La voglia di diventare un pam era da parte mia un’ossessione e solamente dopo che il mio amico e collega Dino, anche lui alle prime armi, mi regalò una canna in fibra di vetro e quattro mosche, mi decisi finalmente a provare. Mi diede in prestito mulinello e coda, con la promessa di ritornare il tutto se un giorno decidevo di arrendermi alle difficoltà che incontravo, ma con l’aiuto e la grande pazienza di Egidio iniziai a fare i primi lanci e le prime uscite di pesca. La mia prima cattura, una trota fario, la feci sulla roggia Lin vicino a casa. La soddisfazione della prima cattura a mosca non si scorda, rimane un ricordo indelebile come la prima volta che si fa all’amore. A Dino restituii dopo un paio di mesi il mulinello con coda, mentre la canna la regalai a un ragazzo un paio d’anni dopo . Per entrare in Yugoslavia ci voleva il passaporto ed Egidio ed io non lo avevamo. Per il rilascio del documento per l’espatrio ci vuole la firma del coniuge e almeno due mesi di attesa per averlo, questo era quello che l’ufficio passaporti ci disse. Disperazione più assoluta da parte mia e di Egidio, ma per fortuna consistiamo in Italia, un amico che conosce un amico che questi conosce un altro e quell’altro conosce…………… e alla fine nel giro di una ventina di giorni il passaporto lo avevamo nelle nostre mani. Rimaneva l’ultimo ostacolo: le consorti. Ero sposato da pochi anni con un figlio a carico e, conoscendo bene mia moglie, andava in crisi solamente a pensare che mi trovassi in un paese straniero e per giunta comunista, temeva per la mia incolumità. Egidio pure lui aveva le sue difficoltà famigliari, chi invece non aveva nessun tipo di problema era Giovanni. Il ragionier Giovanni, sposato con una figlia a carico di questi pensieri non ne ha mai avuti, beato lui. Funzionario di banca, uomo stimato e punto di riferimento dell’unica banca esistente nel paese di Valvasone e gran pescatore a mosca, per noi due è come l’aspirina, il nome del ragionier è per le nostre consorti da sempre la fine dei timori e delle ansie. BALLA ELEVATA AL CUBO. In comune accordo avevamo deciso che: La direzione generale della Banca del Friuli, organizzatrice in passato di gare alla pesca alla trota con la mosca fra i dipendenti delle banche, incaricava il ragionier Giovanni di recarsi in Yugoslavia e precisamente nel comprensorio dei laghi di Plitvice sul fiume Gacka per verificare la possibilità di una gara internazionale di pesca alla trota a mosca fra i dipendenti bancari delle tre nazioni confinanti: Austria, Italia e Yugoslavia, per incrementare il clima distensivo fra i popoli di confine. Spesati di tutto, poteva portare alcuni esperti consulenti; Egidio ed io eravamo i suoi “consulenti”. Io le bugie non le so dire e perciò raccontai alla moglie la pura verità e lei a suo malgrado accettò la situazione avendo saputo l’esito positivo dalle altre. Le raccomandai di essere molto evasiva se la moglie di Egidio le telefonava per chiedere spiegazioni, pare che quest’ultima la storiella se la sia bevuta, lui è un grande per queste cose. Fissammo il giorno e l’ora della partenza, venerdì 13 luglio alle ore 6.00. Giovedì 12 sera ci incontrammo sempre al solito posto, per mettere a punto gli ultimi dettagli , ma Giovanni quella sera non aveva lo spirito giusto per affrontare l’inizio dell’avventura, aveva avuto in giornata qualche problema fisico che metteva in forse la partenza, a quel punto a noi due ci crollò il mondo sulle spalle. In un battito avevo rivisto tutte le fatiche che avevo fatto, per essere pronti per partire, dal passaporto, la moglie e soprattutto convincere il mio capo a darmi un giorno di ferie. Eravamo lì davanti ad un caffè con il morale a pezzi quando il ragionier Giovanni sentenziò: E se partiamo domani mattina prestissimo alle ore 1.30? A volte sa di essere sàdico! Lo stupore per quella sparata ci ha lasciato secchi, fino a pochi minuti prima il tutto era andato a puttane. Accettammo subito prima che cambiasse idea di nuovo; la motivazione a quell’ora della partenza era di sfruttare appieno la giornata a pesca fin dal mattino presto. La voglia di partire aveva prevalso su tutto, erano circa le ore 23.00 quando lasciammo il bar, ci rimanevano poche ore per andare a preparare i bagagli e dare una spiegazione alla moglie per questo cambio di orario. Il bagaglio per pescare era pronto da un paio di giorni, rimaneva da riempire il borsone degli effetti personali. Riempito assieme alla moglie imbronciata, mi distesi sul letto vestito e dormii una mezz’oretta. All’ora stabilita la Lancia Prisma del ragionier Giovanni, assieme ad Egidio si fermava davanti al cancello di casa: finalmente si partiva. Con l’entusiasmo di tre ragazzini dopo l’ultima ora di scuola prima delle vacanze estive, passammo il confine senza nessuna difficoltà a Basovizza e ci inoltrammo verso Rjeka (Fiume). Dopo un’ora e mezza di viaggio, Giovanni si accorgeva che nella tabella di marcia eravamo in anticipo e ci propose……………. e lui è sempre quello che propone, di fermarsi in un’area di sosta per le automobili lungo la statale per dormire un pò, almeno un’oretta. Ci fermammo in un posto non del tutto isolato, c’era pochissimo traffico, ma quello che ci impediva di dormire oltre all’eccitazione del fatto a essere in piena avventura in un paese del tutto sconosciuto e comunista e che la meta del nostro viaggio era vicina, era il passaggio continuo di treni merci, eravamo fermi a una decina di metri dalla ferrovia. Giungemmo a Rjeka verso le 4.00/4.30, città tutta addossata verso il mare e molto lunga, non si finiva mai di attraversarla, oltre a noi erano in movimento solo gli operatori ecologici, con sorpresa notammo che tra loro c’erano più femmine che maschi, questo è il comunismo ho pensato. Nessuna donna si sarebbe sognata di fare quel lavoro in Italia. Con le prime luci dell’alba si vedeva il colore chiaro della costa dalmata piena d’insenature naturali delle piccole baie da sogno, uno spettacolo, l’acqua del mare era di una limpidezza assoluta e poi l’isola di Krk che ti accompagna fino a Senj, la nostra meta scelta per la sosta prima di inoltrarci verso l’interno. A Senj per fortuna in piazzetta c’era un bar aperto e prendemmo un caffè, se si vuol chiamare caffè un po’ di acqua calda di color nero, e poi via verso l’interno. Una strada tortuosa piena di tornanti fino al passo, poi la strada s’inoltra nella valle del Gacka. Un mare di erba di colore verde con tutte le sue tonalità. Caratteristico paesaggio unico nel suo genere, con le poche casette rurali sparse qua e là, gente che si dedica alla pastorizia e all’agricoltura. Otocac il paese più grande e punto di riferimento nella valle dista a pochi chilometri dalla nostra meta. Da Otocac a Licko Lesce sono undici Kilometri con quella strada unica al mondo, tutta rattoppata di asfalto e piena di buche con i suoi avvallamenti in mezzo alle case con un’illuminazione da terzo mondo, strada con il buio diventava impegnativa e molto pericolosa. Ci fermammo sul ponte del fiume Gacka sulla statale per Gospic per dare un’occhiata veloce al fiume, il quale ci colpì per le dimensioni e per la quantità d’acqua che porta e per la calma piatta della sua corrente. Eccitati al massimo con il cuore che batteva a mille alle ore 6.30/7.00 la Lancia Prisma del ragionier Giovanni fermava nel parcheggio dell’Hotel Gacka. Non c’era un’anima viva in giro, quattro o cinque macchine parcheggiate con targhe straniere, tedesche e austriache, una sola croata, nella reception dell’albergo non c’era nessuno, era ancora troppo presto. L’impressione era positiva nel vedere un Hotel costruito e ben funzionante in ragione esclusiva per pescatori e cacciatori nel periodo invernale. Nell’attesa che arrivi qualcuno alla reception per le camere, decidemmo di andare a vedere il fiume dietro l’albergo. La caratteristica che colpisce chi per la prima volta si avvicina al fiume era il ponticello di travi che ti conduce alla riva opposta del fiume e alla diramazione alla destra verso monte che superava il piccolo affluente e raggiungeva la stradina vicino alle case. Egidio ed io abbiamo attraversato il ponte e ci siamo incamminati verso monte, mentre Giovanni rimase vicino alla macchina, non si sa mai! Quello che noi due abbiamo visto ci rimarrà impresso nella mente per tutta la vita. Trote da capogiro a livello di superficie che “ninfavano”, con un’acqua splendida e trasparente e vedevi il fondo profondo almeno quattro metri in alcuni tratti, dove trotoni da oltre 60 cm. stavano immobili sul fondo ai bordi degli erbai. Che batticuore, trote grosse così le avevamo viste solamente nei laghetti a pagamento a Cornino e a Villanova di S. Daniele. Tornati da Giovanni, il quale ci propose:- Dopo aver preso le camere, sarebbe bello andare ai laghi di Plitvice a fare un giro in modo che possiate vedere una delle meraviglie del mondo. A malincuore Egidio per non contraddirlo acconsentiva a denti stretti e da parte mia avevo la voglia di dire: Ma come? davanti a questo ben di Dio……………….e per non fare il solito bastiancontrario, dissi di si anch’io con il sorriso sulle labbra. Conosciuto nel frattempo Milan Stefanac, capo dei guardiani, grande personaggio e disponibilissimo con tutti nel dare consigli e dritte per pescare in quel fiume, finalmente la burbera impiegata alla reception prendeva servizio e sbrigate le solite formalità e deposto il bagaglio in camera, dopo dieci minuti eravamo già di nuovo in macchina per fare i sessanta Kilometri che separavano l’Hotel dai laghi. Strada tranquilla con poco traffico, al passo per la prima volta vidi un orso alla stanga, un metodo zingaresco per tenere a distanza di sicurezza la bestia, un’attrazione per le foto ricordo per i turisti di passaggio verso i laghi. Povera bestia mi faceva compassione. I laghi sono bellissimi, la natura si è divertita a creare questo immenso parco d’acqua, dove i laghi superiori si gettano su quelli inferiori creando una serie di cascate meravigliose agli occhi di tutti, caratteristici sono i passaggi sopra le acque di risorgiva con i ponticelli di tronchi in rovere. Fatto il percorso più corto e fatto alcune foto ricordo con la macchina antiquata di Egidio, ancora adesso stiamo aspettando di vedere una foto da quella volta, mangiato un panino, bevuto una birra eccoci di nuovo in macchina per fare i sessanta Kilometri di ritorno. Arrivammo in albergo verso le 16.30/17.00 non tenevamo gli occhi aperti per la stanchezza, finalmente ho proposto qualcosa anch’io:- Andiamo a riposare fino all’ora di cena e a pescare ci penseremo domani. Per primo giunsi in camera e in un batter d’occhio mi son fatto la doccia e mi sono infilato sotto le lenzuola e mi sono addormentato subito. Non avevo fatto neanche un sonnellino che il telefono della reception mi svegliava:- Pronto, dissi con una voce baritonale. Dalla parte opposta mi sento rispondere:- Tosatto, sveate che il sol xe alto e in Gacka se vien a pescar non a dormir. Non riuscivo a capire chi era questo tipo. Risposi di nuovo:- Pronto? Lui di nuovo: -Tosatto sveate che son Palù, vien zo che te spetemo per andar a pescar al terzo ponte assieme ai to do amici. Risposi: - vegno subito. Mentre mi vestivo, pensavo:- che casso vuole questo qua, come avrà fatto sapere che sono in questa camera? Prima di scendere presi dalla valigia le riviste di Pescare, dove Palù aveva scritto articoli sul Gacka. Lo riconobbi subito dalla lunga barba bianca e dai capelli color argento e dagli zoccoli di legno che porta sempre, assieme a lui c’erano Egidio e Giovanni. Li aveva fregati, nel momento che stavano per salire in camera, hanno avuto l’incontro e Palù quando fiuta la preda, non ti molla più, fa anche rima, era arrivato in quel momento per il week end a caccia di clienti. I polli da spennare eravamo noi, non c’era nessun altro italiano in quel periodo. Il mese di luglio non era quel che si dica il migliore per la pesca a mosca secca, e noi sapevamo fare solo quella tecnica e anche non bene. Fatto il permesso, Palù assieme ad Egidio partì con la sua macchina davanti a quella di Giovanni per insegnarci la strada. Arrivati al terzo ponte, posto meraviglioso, il maestro tirava fuori dal bagagliaio della sua Mercedes una serie di canne da far invidia a un negozio. Per la prima volta vedemmo una canna a mosca telescopica riducibile a varie misure, mentre la preparava per pescare, ci spiegava i pregi dei suoi attrezzi, lasciandoci increduli e disorientati. Dopo la canna è passato alla serie delle mosche; mamma mia! quante e che spettacolo vederle tutte allineate in ordine nelle scatole con il coperchio trasparente. Le nostre povere mosche, copiate dalle vecchie riviste di Pescare, rimesse alla rinfusa nelle scatoline a scomparti in pvc di colore verde pisello, facevano veramente pena al confronto. Dalle indicazioni di Palù la tecnica di pesca adatta per quel mese era quella a ninfa, l’unico tra noi ad averne era Egidio il quale le distribuì in parti uguali a me e a Giovanni. Eravamo un po’ titubanti nell’iniziare a pescare, anche perché le nostre attrezzature, la tecnica e le mosche non erano all’altezza della situazione. Palù aveva capito il nostro disagio e con quattro battute delle sue, ruppe il ghiaccio mettendoci a nostro agio. Egidio in quell’occasione fu l’unico ad avere un’abboccata e anche il maestro non aveva avuto fortuna quella sera. Giovanni ed io non abbiamo pescato, a dichiarare la verità una o due passate le abbiamo fatte, ma poi siamo stati attratti dalla tecnica di Palù, gli rimanemmo nei paraggi con le nostre ridicole canne in mano a guardarlo meravigliati mentre si esibiva in lanci veramente per noi eccezionali. Il maestro in pochi minuti ci spiegò che cos’era il Gacka, i pregi e i difetti, per uno che per la prima volta ci veniva a pescare. All’imbrunire facemmo ritorno in albergo per la cena, appuntamento in sala alle ore 20.30, Giovanni ed Egidio sparirono nelle loro camere in un batter d’occhio per farsi la doccia, mentre io avendola già fatta prima, mi distesi sul letto e mi addormentai. Mi svegliò Egidio bussando alla porta, dicendomi che gli altri due erano già in sala da pranzo ad aspettarci. In sala non c’era movimento, eravamo in pochi, oltre a noi c’erano altri pescatori di nazionalità incerta. Francesco Palù si comportava come se fosse il padrone di casa, stava con tutti i compresi il personale dell’albergo; se uno entrava, immediatamente gli andava incontro per parlargli, il tedesco era la lingua che parlava meglio per i pescatori non italiani. Ho notato che mangia pochissimo, non beve caffè e alcolici, non fuma e a tavola beve acqua calda zuccherata e latte bollente con le fettine di cipolla dentro, tutto questo secondo una sua teoria per vivere meglio. A cena finita andammo a sederci come fan tutti sulle poltrone delle salette accanto alla reception e qui il maestro tirò fuori il meglio di se stesso nell’evidenziare le capacità delle sue attrezzature e dei suoi artificiali. Lo scopo era di vendere e il mondo Gacka era fatto a puntino per i suoi affari. Noi tre non ce la facevamo più ad ascoltarlo a tenere gli occhi aperti, la stanchezza, le pochissime ore di sonno della notte prima, tutte le emozioni della giornata, non si vedeva l’ora di andare a dormire. Con la promessa di pescare assieme l’indomani, lo lasciammo al suo destino, per ritirarci nelle nostre camere. Si dormiva finalmente. Alle otto e mezzo eravamo tutti giù a far colazione, la notte era trascorsa in un attimo, dormito come un ghiro in letargo. L’incontro con Palù era stato come un lampo a ciel sereno, ci ha messo in soggezione e il pensiero di passare un altro giorno con lui ci metteva a disagio, noi tre avevamo un modo di vedere la pesca a mosca tutta “internos” e trovarsi con questo personaggio tra i piedi che arrogantemente s’intrometteva fra noi con lo scopo solo di vendere i suoi prodotti ci rovinava la nostra avventura. Mi rodeva il fegato essere giudicato, io non dovevo dimostrare nulla a nessuno. Ero contentissimo della mia tecnica di pesca, delle mie mosche e soprattutto della mia canna e trovarmi vicino a uno che metteva in risalto le mie negatività, mi rompeva i coglioni. Insomma fare brutte figure davanti a certe persone non mi andava e per questo cercavo di evitarlo al massimo. Pensandoci bene, in fondo aveva ragione e anche noi questo lo sapevamo. L’abilità di un venditore si vede subito, ti coinvolge quando meno te l’aspetti e quando propose di andare a pescare a monte e a valle dell’Hotel, dove le trote bollano in alcune zone del fiume per tutto il giorno, non sapemmo dire di no. Durante la mattinata avevo avuto un paio di rifiuti, trotelle uguali come misura a quelle che di solito prendevo nelle rogge vicine casa, così pure Giovanni, mentre Egidio con la sua bravura nel lancio riuscì a catturare alcune trote iridee veramente belle. Il maestro Palù, invece era una meraviglia nel vederlo catturare sia a galla sia sotto, addirittura in più occasioni pescava con due ninfe e a fine passata riusciva a portare a riva due trote alla volta e poi la canna che adoperava era uno spettacolo, con due falsi lanci arrivava con la posa della coda a pochi centimetri dalla sponda opposta, mentre noi per arrivare con la coda oltre la metà del fiume ne dovevamo fare almeno sette. L’esibizione fatta da Palù aveva colpito. Aveva colpito il nostro modo di intendere la pesca a mosca, aveva colpito la nostra sicurezza e padronanza del concetto pesca a mosca, insomma ci aveva ridimensionato. Consideravo la pesca a mosca, fino a quel giorno, come un divertimento piacevole ed elegante, di solito coronato da un successo molto relativo, ma come mi sbagliavo! Ho dovuto ritrovarmi a spalancare gli occhi davanti a questi risultati ottenuti da un vero pescatore a mosca. Ora sapevo perfettamente che il moscaiolo completo come Palù, che nulla ignorava della mosca secca, della sommersa e della ninfa, era in grado di catturare pesci dall’apertura alla chiusura della stagione e molto spesso dall’inizio alla fine della giornata di pesca. Per ottenere questi risultati ero sicuro che l’apprendimento esigeva volontà e perseveranza, umiltà fra gente altrettanto pura, vera, tenace così com’è altrettanto vero che il cammino verso la conoscenza e la padronanza di questa tecnica è molto, molto lungo. Sono convinto che è possibile imparare a pescare a mosca a qualsiasi età purché si sia in grado di ritrovare l’umiltà necessaria per affrontare il tirocinio indispensabile. E’ questa la sola e unica vera difficoltà. In un attimo la nostra attrezzatura non andava più bene, le canne che noi ritenevamo le migliori fino a quel momento, erano inadeguate per una pesca superiore in un fiume come il Gacka. Un bravo venditore capisce quando c’è l’attimo da cogliere al volo e dopo pranzo Palù volle vedere e testare le nostre canne. Egidio per primo gli consegnò la sua canna migliore e dopo averla presa fra le mani e fatto, un tentativo di lancio esclamò: Ma che roba è questa? Non sarà mica una canna! Quando provò la mia, otto piedi in carbonio coda sei, novità in quel periodo, la “Shakespeare President 1735” comprata nel negozio Caccia e Pesca di S. Martino al Tagliamento per centoquindicimilalire fece una smorfia di dolore e capii al volo cosa significava quella smorfia. L’avevo acquistata per la bella scritta in “oro” che aveva vicino all’impugnatura, senza che nessuno mi avesse dato qualche consiglio, anche la signora del negozio non ne sapeva un bel niente delle caratteristiche della canna. Questo succede quando si entra in negozio ancora incerti e con le idee poco chiare e il più delle volte, un acquisto fatto a caso nasconde probabili delusioni future. Pure quella di Giovanni non andava bene, aveva un’azione parabolica che all’aggancio di un piccolo pesce sembrava che in canna ci fosse una trota da kilo, canna che non riusciva a” caricare” la coda per la lunghezza del lancio desiderato. Fino allora la distanza massima dei nostri lanci nelle rogge e risorgive si aggiravano sui cinque - dieci metri e le nostre canne per noi andavano benissimo per quei corsi d’acqua. Palù ci propose di provare le sue canne e noi per curiosità e anche con la voglia di toccare con mano quel diabolico strumento, accettammo con entusiasmo. Per un quarto d’ora ci spiegò le caratteristiche delle canne e ci consegnò una canna a testa secondo le nostre capacità di lancio. Ognuno di noi tre aveva avuto una canna con un’azione diversa, questo perché il mattino quando noi ci sbracciavamo, per distendere il più lontano la coda, lui ci osservava con la coda dell’occhio e aveva valutato che tipo di canna era adatta per ognuno di noi. A me diede una canna con un’azione media, a Giovanni quella con un’azione di punta, mentre a Egidio un’azione quasi parabolica, tutte e tre le canne avevano una lunghezza di metri 3.30, riducibili fino a metri 2.10, mentre Palù pescava con una di metri 4.80 riducibili a metri 1.60. Ognuno di noi mise la misura dello strumento secondo le proprie caratteristiche, io i posi sui nove piedi coda sei, il primo lancio fu devastante, mi sconvolse completamente, fino allora non avevo mai fatto un lancio così lungo. Due falsi lanci e poi subito la posa della coda e questa viaggiava a mille verso la distanza desiderata. Per la prima volta dopo centinaia e centinaia di tentativi per raggiungere la sponda opposta finalmente al primo lancio con quello strumento, ci riuscii, mi sentivo a mio agio con quella canna, come se l’avessi sempre avuta, così pure erano le impressioni di Egidio e Giovanni dopo i primi lanci. Abbandonai la compagnia e mi diressi verso valle sulla sponda opposta dell’albergo e giunsi fino alla palude, da dove si poteva andare avanti se non fare un lungo giro, ma la mia meta era proprio lì dove finiva la sponda accessibile, in quel tratto di fiume era coperto di erbaii, le trote erano in attività frenetica tutto il giorno nei corridoi d’acqua fra le erbe. Con le poche mosche secche che avevo, cercavo a tutti i costi di agganciarne almeno una non m’interessava di portarla a riva, anche perché non sapevo come avrei potuto fare con quelle erbe in mezzo al fiume, m’interessava solamente vedere come reagiva la canna con una trota in trazione e poi avere la soddisfazione di aver fatto un aggancio come si deve dopo quasi due giorni di stecca. Verso sera quando non ci speravo più, su un lancio magistrale a pochi centimetri dalla sponda opposta una trota era salita a prendere la mia mosca. Alzai la punta della canna e in acqua successe un finimondo, una trota iridea grossa fece capolino con due salti fuori dall’acqua, la tenni in tensione una ventina di secondi e poi si rifugiò in mezzo alle erbe in centro fiume e la persi. Il filo del terminale si era rotto al nodo con la mosca. Ero molto soddisfatto per aver agganciato una trota in condizioni veramente difficili, l’unica azione di pesca degna di nota in due giorni di pesca. Riconsegnata la canna al suo proprietario la sera a cena, mentre Palù girovagava per l’albergo, ognuno di noi tre raccontava le proprie impressioni al riguardo. Egidio ne era letteralmente innamorato, Giovanni, anche lui ne era entusiasta, mentre io giurai che un giorno una canna come quella me la sarei comperata. Dopo cena, niente divani, salimmo subito nelle nostre camere a preparare le valige per il ritorno, anche il maestro rientrava a Campoformido l’indomani. Domenica 15 luglio 1984 ore 9.30 partenza per il ritorno in patria, salutato Milan Stefanac e fatta la promessa di ritornare il mese di maggio dell’anno prossimo, mese per gli appassionati della mosca secca per le grandi schiuse di mayfly e sedge che fanno impazzire le trote. Egidio si era sacrificato per me, il viaggio di ritorno lo faceva assieme a Palù, sinceramente non avevo nessuna voglia di farlo con quel tipo, mi metteva soggezione e poi non avevo argomenti validi per replicare alle sue cazzate. Con il rientro in pieno giorno, osservavo il panorama, zone bellissime soprattutto la costa dalmata, peccato per la strada, con il traffico diventa pericolosa. A Povile piccolo paese vicino a Novi Vinodolski a metà percorso tra Senj e Rjeka, Palù si è fermato davanti ad una piccola trattoria gestita da due fratelli. Piatto unico, risotto con gli scampi, una cosa fuori del normale per la bontà, questa era una delle poche cose che apprezzavo in Palù, sapeva trovare i posti davvero unici. A metà luglio c’erano in vendita per i turisti ai bordi della strada fra Rjeka e Trieste, la stessa zona, dove all’andata ci siamo fermati a dormire, i primi funghi porcini, erano in mostra su delle bancarelle fatte alla buona e qualche automobilista con targa italiana era fermo per acquistarli. Appena passato il confine ci separammo da Palù dopo i saluti di rito, c’eravamo lasciati con la promessa di vederci il più presto possibile. Egidio entrando in macchina annunciava raggiante che aveva fatto il grande passo, aveva acquistato la canna e fra non molto tempo l’avrebbe avuta tra le mani. Pensai che Palù aveva raggiunto lo scopo anche questa volta, aveva convinto un pescatore a mosca ad acquistare uno strumento dei suoi, il week end in Gacka aveva dato i suoi frutti, ma che dire, è il suo lavoro, lui ci campa con un hobby diventato lavoro. Dopo quest’avventura per un bel po’ di tempo non andai a pescare, le solite rogge e risorgive non mi attiravano più. Il ricordo di quello che avevo vissuto in un fiume come il Gacka era sempre presente nella mia mente. Egidio nel frattempo aveva ricevuto la canna, mentre la guardavo il desiderio di averne una si faceva sentire sempre di più. Giovanni una sera ci convocò al solito posto, aveva cose molto importanti da dirci. Le aveva telefonato Palù il quale ci invitava a casa sua una sera, per poi andare a cena in un locale caratteristico nella zona. Egidio e Giovanni erano d’accordo di andarci, mentre io non ci volevo andare. Lo scopo di quell’invito lo sapevamo, i polli da spennare eravamo noi. Alla fine cedetti alla pressione dei miei due amici con la promessa di non spendere più di ventimila lire. A Campoformido dove il maestro abitava, ci presentò la sua bellissima moglie e tutti e cinque con la macchina di Palù andammo a Sterpo, un villaggio con poche case, dove l’attrazione più importante sono le risorgive del fiume Stella e il locale dove si mangia. Degustato una grigliata favolosa, ritornammo a casa Palù, il quale in un batter d’occhio tirò fuori dagli armadi una marea di materiale di costruzione e mosche da far invidia a un supermercato. Materiale all’avanguardia, innovativo, frutto di ricerche continue per soddisfare le voglie dei clienti, segreti che sono il frutto di anni e anni di pesca. Una quantità di cose che gli sono costate molti sacrifici, (in tempo, denaro e applicazione costante) e che sono state acquisite grado a grado, ricercando, sperimentando, osservando e confrontando i dati raccolti durante i lunghi anni di pesca, insomma un’azienda famigliare, padre, moglie, figlio e figlia dedicata a competere contro le multinazionali americane e giapponesi in un hobby che nella nostra regione stava facendo passi da gigante. Il valore in lire di quello che acquistai era molto superiore a quello che mi avevo prefissato, materiale soprattutto di costruzione e qualche mosca da tenere come campione. Pure i miei due amici acquistarono mosche e materiale lasciando sul tavolo qualche centinaio di lire. Ci lasciammo con la promessa che Giovanni ed io al più presto avremmo ordinato le canne e di ritrovarci più spesso, magari lungo i corsi della regione e soprattutto di non mancare all’appuntamento di maggio in Gacka. Giovanni fu il secondo a comprare la canna e di lì a poco tempo la ordinai anch’io. Il motivo per cui mi decisi di comprarla era che mi trovavo bene con quello strumento di lancio, la facile maneggevolezza rendeva l’azione sciolta e piacevole nella sua esecuzione, tutto con il minimo sforzo, in poche parole è una gran canna e poi non volevo far per l’ennesima volta, il solito bastiancontrario, anche se il costo di ottocentocinquantamilalire, per quei tempi non erano bruscolini. Palù per tradizione scrive sempre una dedica personalizzata sulla canna a chi gliela ordina direttamente, sulla mia ha scritto: “ A Onorio un tre mettete a posto per il ritardo”. A conclusione dopo quest’avventura avevamo capito che la pesca a mosca comprende così tanti e diversi argomenti che per conoscerli tutti veramente a fondo ci vuole una vita intera. Per riuscire in questa disciplina bisogna spaziare in tutti campi che la compongono, lo studio degli insetti, di cui si cibano i pesci, il lancio e la costruzione dell’artificiale, lo studio degli habitat d’acqua dolce, le tecniche di pesca e infine, non per questo meno importanti, la storia e le tradizioni della pesca. L’incontro con Palù è stato fondamentale e utilissimo, ci ha aperto gli occhi, fino allora quello che avevamo assimilato, magari grossolanamente, le prime nozioni, ci ritenevamo appagati, si credeva di saper tutto e si diventava insensibili alle opinioni degli altri. Le catture facili che si facevano nelle acque vicine casa ci avevano illuso, il Gacka era stato un duro risveglio, troppo spesso la concentrazione della giornata di pesca era legata solo alla cattura, il contorno diveniva, in quel tempo per noi, un qualcosa in più. “ Il pescatore è tanto più completo quanto più sa riconoscere il momento giusto per pescare sulla superficie, a mezz’acqua o vicino al fondo. E’ tanto più abile quando più sa usare il metodo appropriato nel momento più opportuno. La casualità e l’approssimazione nella scelta della mosca possono creare solo pescatori tecnicamente lacunosi, capaci di risultati brillanti soli quando tutte le circostanze giocano a loro favore ma destinati a tristi insuccessi quando devono affrontare situazioni e fiumi sconosciuti e difficili”. A titolo personale mi riconosco com’ero prima della partenza in queste frasi di Raffaele De Rosa nel suo libro “Pescare con la mosca”. Da quel giorno non mi ritenevo più appagato dei miei successi locali, ho sempre cercato di migliorare le mie prestazioni e soprattutto ho cercato di capire il perché dei miei insuccessi nelle acque dei fiumi di mezz’Europa.