venerdì 31 luglio 2009

Un po' di entomologia per il pescatore a mosca

















Piccole nozioni di entomologia

La Pesca a Mosca intesa in senso stretto, quindi per insediare i Salmonidi in acqua dolce, si basa sull'esistenza di alcune famiglie di insetti quali Effimere, Tricotteri , Plecotteri e i Ditteri. Questi insetti nascono da uova deposte in acqua e ivi si sviluppano trascorrendo la maggior parte della loro esistenza in prossimità di essa. Il tempo necessario allo sviluppo embrionale delle uova può variare da poche ore a qualche anno. Poi gli insetti passeranno allo stadio di ninfe acquatiche, sino a diventare, per successive trasformazioni, insetti aerei terrestri vivendo però sempre in prossimità dell'acqua. La maggior parte di queste specie vivrà il tempo strettamente necessario all'accoppiamento ed alla deposizione delle uova, in alcuni casi anche solo pochi minuti.Il pescatore deve quindi osservare attentamente per cercare di capire che insetti ci sono in acqua e di quali si stanno nutrendo i pesci. Fatto questo, la scelta dell'artificiale giusto diventa di basilare importanza. A seconda dello stadio di vita dell'insetto da imitare si potrà quindi pescare a ninfa, con la mosca sommersa, o a mosca secca.
Le Effimere hanno forma molto slanciata e sono dotate di quattro ali, quelle anteriori molto grandi e le posteriori piccole. Nell'insetto adulto (Imago o Spinner) la ali sono trasparenti ma con evidenti nervature. In posizione di riposo sono sempre attaccate l'una all'altra e rivolte verso l'alto; capita spesso, infatti, di vedere questi insetti trasportati dalla corrente immobili sulla pellicola superficiale dell'acqua. La coda, lunga in genere anche una volta e mezzo il corpo, funge da apparato sensoriale. Il corpo, molto esile, varia da pochi mm a 4/5 cm coda compresa. Questi insetti volano in modo ritmico e pendolare (dal basso in alto e viceversa) posandosi molto spesso sull'acqua. Lo sviluppo delle larve può durare da pochi giorni ad anche 1-3 anni. Una volta comparsa la sacca alare la larva diventa ninfa e, una volta maturata, sale verso la superficie. Qui schiude improvvisamente sul pelo dell'acqua diventando insetto alato (Subimago o Dun). Questo insetto, non ancora perfetto, ha ali opache e bordate di peluria, coda corta. Rimane in questo stadio qualche ora o qualche giorno, diventando poi insetto perfetto pronto ad iniziare il volo nuziale. Si accoppia in aria e, non appena deposte le uova, muore sull'acqua aprendo le ali (Imago morta o Spent). "Effimera" perché il suo ciclo di vita aerea si conclude in poche ore.

I Tricotteri adulti hanno quattro ali pressoché uguali che, ripiegate lungo il corpo in posizione di riposo, fanno assumere all'insetto l'aspetto di un tetto a capanna. Queste ali sono opache e ricoperte di sottilissima peluria. Sono insetti senza coda, con due lunghe antenne filiformi. Le uova si fissano sul fondo o sulle erbe acquatiche e, dopo un periodo compreso tra i 10 ed i 30 giorni, danno vita alle larve. Queste emettono delle secrezioni che consentono la costruzione, attorno al corpo, di un piccolo cilindro protettivo fatto di sassolini, granelli di sabbia, pagliuzze, ecc.. Le larve con la loro casetta, chiamate anche Friganee o Portasassi, restano sul fondo in cerca di cibo per 10 - 11 mesi. Alla fine dello stadio larvale esse si chiudono ermeticamente nel proprio rifugio e si impupano diventando ninfe le quali, a sua volta, si liberano per nuotare sino alla superficie dove, anche sul terreno, si trasformeranno in insetto adulto. Il volo di questi insetti è lento e pesante ed avviene, prevalentemente, in linea orizzontale.

I Plecotteri hanno, come le Effimere, metamorfosi incompleta poiché restano sempre attivi compiendo mute immaginali senza però impuparsi. La coda è costituita da due cerci filiformi; le quattro ali dell'insetto adulto, trasparenti e con vistose nervature longitudinali, sono, in posizione di riposo, appiattite sul corpo. Le uova deposte si fissano sul fondo erboso e schiudono in un periodo che può essere compreso tra le 2-3 settimane ed i 4-6 mesi. Gli stadi larvali e di ninfa passano attraverso molte trasformazioni e possono durare, sommati, anche fino a 3 anni. Le ninfe mature abbandonano quindi l'acqua posizionandosi su una pietra, uno stelo d'erba o un ramo per trasformarsi finalmente in insetto adulto. Questo insetto, soprattutto allo stato ninfale, è chiamato infatti dai pescatori anche Perla o Stonefly (Mosca della Pietra). Il volo è simile a quello dei Tricotteri, lento e rumoroso. L'insetto adulto arriva anche a 2-3 cm di lunghezza. Una volta iniziata la vita aerea avverrà quasi subito l'accoppiamento e la deposizione delle uova; gli insetti adulti cadranno quindi sul terreno morendovi.

I Ditteri, il corpo dei ditteri (mosche e zanzare) può essere lungo e sottile, oppure largo e tozzo, i ditteri più piccoli misurano 1mm, mentre i più voluminosi arrivano a 30mm.In molti casi la pigmentazione è grigia, brunastra, generalmente poco appariscente, ma si possono notare specie che possiedono una livrea colorata (Syrphidae, Trypetidae).
La metamorfosi dei Ditteri è completa, nella maggior parte dei casi sono ovipari, e depongono le uova nel terreno, o nell'acqua, sui vegetali, nelle sostanze organiche in decomposizione, e anche nelle ferite. Alcune specie ovovivipare danno vita a larve già attive, oppure più raramente a ninfe. Le larve presentano forma cilindrica ad una estremità (a sigaro), e sono apode, prive di occhi, vivono nel terreno, nell'acqua, sotto le cortecce, negli alimenti, nelle sostanze organiche in decomposizione, nella frutta, sul corpo di vari animali superiori, sotto la pelle dei mammiferi, nel corpo di altri insetti, oppure all'interno di galle (Cecidomydae).Esse normalmente si muovono per contrazione del corpo; alcune specie portano setole o particolari processi per aiutarsi nel movimento. L'apparato boccale delle larve è masticatore, più o meno modificato. La ninfosi può avvenire nello stesso luogo dove si è svolto lo sviluppo larvale, oppure in ambiente diverso. Nei Ditteri più evoluti la ninfosi avviene all'interno di un pupario; costituito dalle ultime esuvie indurite, a forma di barilotto.

Vi sono poi gli Imenotteri a cui appartengono tutti gli Aculeati (Vespe e simili) e i Formicidi (Formiche alate e non), tutti con quattro ali. Sono insetti terrestri che solo casualmente cadono in acqua diventando prede dei pesci. Altri insetti parzialmente acquatici e di discreto interesse per la Pesca a Mosca sono i Chironomidi (piccoli moscerini, zanzare e affini) e le Libellule.

I salmonidi si cibano comunemente anche di vermi, sanguisughe, molluschi e piccoli crostacei, in particolare gamberetti, hanno la tendenza ad alimentarsi in modo non selettivo poi, è maggiore quando si cibano sul fondo. In questi casi, infatti, tendono a catturare qualsiasi invertebrato trasportato dalla corrente.
Sanguisughe, vermi e gamberetti: le sanguisughe e i vermi d'acqua, molto diffusi in tutti i tipi d'acque, sono un cibo ambitissimo dai salmonidi, sia per la loro taglia, sia per il fabbisogno energetico che soddisfano. Il loro movimento in acqua, lento e serpeggiante, è irrestibile per i pesci. Le sanguisughe, quando si nutrono, si attaccano alle rocce oppure aderiscono al fondale, mentre i vermi si infilano nel limbo o nelle erbe acquatiche. Entrambe le specie sono particolarmente vulnerabili durante gli spostamenti che compiono per cercare nuovo cibo, le dimensioni di vermi e sanguisughe variano dai due agli otto centimetri di lunghezza.

I gamberetti appartengono alla famiglia dei crostacei ma dividono il loro habitat con le ninfe nuotatrici di effimera, si trovano in gran numero tra le erbe acquatiche e nelle acque ferme,
nuotano muovendo freneticamente le numerose zampette ed utilizzano la coda per nuotare a scatti all'indietro, in un modo molto veloce. La maggior parte dei gamberetti presenta una colorazione oliva, grigia, beige oppure in un evidente tono arancio.

giovedì 30 luglio 2009

Il terminale




Unito alla parte terminale della coda, il finale è un tratto di nylon di diametro decrescente, ideale prosecuzione del profilo della coda di topo, alla cui estremità più sottile viene legato l'artificiale. Può essere realizzato in più sezioni di filo variamente dimensionate (finale a nodi) o in unico trafilato (finale conico): la scelta potrebbe essere fonte di una lunga trattazione, dato che il tipo di finale può influire sostanzialmente sulla riuscita di un buon lancio e, più in generale, su tutta la battuta di pesca. La sua lunghezza, che può variare da un minimo di 2 a oltre 5 m, è direttamente influenzata dall'ampiezza degli ambienti, dalla diffidenza del pesce e dall'abilità del pescatore. Il finale a nodi trova impiego per la migliore capacità di distensione (soprattutto sulle corte distanze) e di forare il vento. Viene utilizzato prevalentemente in torrente dove il contrasto delle correnti e la velocità dell'acqua rende il pesce meno selettivo e maggiormente aggressivo. Quello conico, al contrario, serve laddove sia necessario un finale più morbido e silenzioso, meno violento nella posa in acqua, quando questa è piatta e il pesce assai diffidente e restio ad alimentarsi in superficie. Ogni finale, soprattutto nel tratto terminale, deve essere dimensionato in relazione alla mole della mosca da lanciare. Nel caso delle mosche da caccia, le più voluminose e montate su ami del n. 8 o del n. 10, si può giungere a uno 0,18-0,20; impiegando piccole imitazioni in "cul de canard" (amo dal n. 20 sino al n. 26) si può invece scendere anche sotto lo 0,10.
Negli USA e' abbastanza accesa la lotta tra i sostenitori dell'uno e dell'altro tipo. I primi (in netta minoranza) hanno dalla loro la tesi secondo cui l'assenza di nodi di congiunzione dissiperebbe meno energia, migliorando la posa dell'esca e causando meno disturbo in acqua. I secondi invece sostengono che, prima o dopo, tutti i finali si usurano negli ultimi cm e quindi si deve prolungarli legando uno o piu' spezzoni di filo (sistema utile anche con acque molto pulite o pesci molto smaliziati per avere una presentazione piu' naturale) diventando quindi un finale a nodi; in altre parole, vantano la maggiore versatilita' del loro metodo. Comunque, la "regola" tradizionale del mondo anglosassone per la creazione del finale e' che 2 sezioni contigue non devono mai avere una differenza di diametro superiore a 0.002 pollici (0.05 mm).Dato per scontato che il primo finale acquistato dal principiante è a nodi, diciamo subito che il neo-pescatore a mosca dovrà osservare attentamente una serie di accorgimenti per evitare di comprare qualcosa di sbagliato. Prima di tutto è estremamente importante il nailon con cui è costruito. Sappiamo tutti che un filo scadente, possiede molta ‘memoria’, che non è altro che l'antipatica e negativa caratteristica che i nailon di bassa qualità hanno, con la conseguenza di non distendersi facilmente sotto l'azione di tiraggio e quindi di mantenere le classiche e dannose spire. Un finale con queste caratteristiche non ci sarà di aiuto nel lancio in particolar modo nella precisione, nella trasmissione della potenza, e ritarderà la ferrata, poiché, lavora come una molla. E' ovvio quindi, che ci si deve orientare verso quelli che sono costruiti con del nailon morbido e di buona qualità. La prova da fare è semplice, e basta stirare tra indice e pollice per tre/quattro volte la parte di sezione più grossa che è poi quella che mantiene più memoria. Se il nailon è idoneo avremo come risultato il filo pressoché disteso, se altrimenti le spire restano, è da scartare subito. Un accorgimento al quale bisogna ricorrere sempre, è quello di non riavvolgerlo, alla fine della giornata di pesca, sul mulinello poiché inevitabilmente le dannose spire potrebbero riformarsi. Pescando a secca, va ingrassato come per la coda di topo, evitando di farlo negli ultimi 100/120 cm, poiché segnerebbe sulla superficie dell'acqua una negativa linea di riflesso visibile al pesce. Va ricordato che l'operazione di ingrassaggio sia della coda che del finale, è l'ultima che deve essere eseguita anche dopo aver montato la mosca. La continua sostituzione della mosca, farà inevitabilmente accorciare il Tip, causando uno sbilanciamento del finale con un conseguente rimbalzo della mosca che causerà una posa non più idonea e tantomeno precisa e delicata. L’ideale è quindi collegare il Tip al resto del finale non con un nodo ma ad una micro-asola la quale verrà eseguita sull’ultimo spezzone della conicità. In questo modo si potrà sostituire completamente tutto il Tip senza intervenire sulle altre parti del finale e quindi senza stravolgerne l’architettura mantenendo quindi il giusto bilanciamento. Le sigle che si trovano sulle confezioni dei finali sia per i conici che per quelli a nodi, si riferiscono sia alla lunghezza, che di solito è espressa in piedi, sia al diametro del Tip, ovvero la sezione del nailon dove si annoda la mosca, che è formata da un numero che si riferisce alla sezione vera e propria, seguito da una ‘X’. La seguente tabella ci chiarisce il concetto:
0X = 0,27 mm
1X = 0,25 mm
2X = 0,23 mm
3X = 0,20 mm
4X = 0,18 mm
5X = 0,15 mm
6X = 0,12 mm
7X = 0,10 mm

Il mulinello





Nella pesca a mosca il mulinello serve soltanto a contenere la coda di topo. Di norma, salvo casi eccezionali, il pesce viene recuperato "tirando" la coda di topo con la mano libera.
I mulinelli sono diversi da tutte le tipologie adoperate per gli altri tipi di pesca. Essi nascono essenzialmente come contenitori di filo e sono sprovvisti di moltipliche nelle misure più piccole. Possono avere manovella di recupero a destra o a sinistra. Sono costruiti con frizione a molla o disco, quasi inesistente in quelli per code fino a massimo misura 5 o 6, molto efficace ed utile invece in quelli di misura superiore. Possono essere di tipo "Direct-drive" (la manovella gira sempre conseguentemente al movimento della bobina) o "Anti riverse" (la manovella gira assieme alla bobina durante il recupero, mentre si blocca quando la bobina gira trascinata dalla coda che esce dal mulinello; questi sono adatti alla cattura di grosse prede). I materiali vanno dalle leghe di alluminio e titanio a semplici leghe di materiali ferrosi e affini; tutto mira, ovviamente, alla leggerezza e alla resistenza.
Da molti anni è in produzione e in vendita un mulinello geniale ideato da Franco Vivarelli. Questo mulinello, realizzato in composito di carbonio, si può definire semiautomatico. Sfruttando un principio elementare, consente, azionando una leva, di accelerare il riavvolgimento della coda in tempi rapidissimi.
Il primo prototipo è una modifica del famoso modello americano "Martin", Il definitivo sarà depositato all'ufficio brevetti successivamente.
Nel 1984 inizia la commercializzazione di questo gioiello tutto made in italy, ma il mercato italiano non sembra recepire immediatamente questo prodotto rivoluzionario. Sarà invece il mercato francese, grazie anche ad una storicità sul recupero automatico, a dare fiducia a questo prodotto e ad aiutare la divulgazione del Franco Vivarelli. Il successo immediato coglie in parte impreparata l'azienda che fatica a soddisfare l'enorme richiesta di prodotto. In breve tempo tutti i pescatori europei conoscono il semiautomatico rivoluzionario ma nel momento di massima espansione scompare per una grave malattia il titolare Franco Vivarelli.
Coraggiosamente la moglie Raspanti Nerina si fa carico della gestione dell'azienda continuando nella produzione e nell'espansione della ditta, successivamente affiancata dal figlio Tommaso Vivarelli. Vengono introdotte novità estetiche e miglioramenti tecnici fino all'introduzione dei modelli in alluminio, prodotti che vincono il premio efttex 2004 a Londra come migliore novità.Nonostante le numerose imitazioni sul mercato l'azienda continua ad investire sullo sviluppo e sul miglioramento della gamma prodotti,rimanendo fedele alla parola d'ordine "made in Italy".
I mulinelli moderni sono tutti large arbor(con bobina larga), ottenuti per tornitura da barra piena di alluminio di tipo areonautico 6061-T6 e subiscono ulteriori trattamenti atti a rendere il materiale ancora più resistente, leggero e quindi anodizzati a prova di salsedine. La frizione è composta da due dischi di in sughero o da materiale sintetico in polimero composito.
L'aparato meccanico è totalmente assente da manutenzione in quanto la brozina della bobina è autolubrificante per avere una rotazione dolcissima sul perno d'acciaio inossidabile.
Sono completamente ventilati con un perfetto bilanciamento tra corpo e bobina, hanno un veloce sistema di cambio bobina e una facile conversione per il recupero destro o sinistro senza sostituzione di pezzi.
La bobina larga per evitare le spire strette della coda diventino permanenti impedendo così la perfetta distesa nel lancio.
I mulinelli per le grosse prede, hanno un freno progressivo a lunga escursione per una regolazione fine della taratura sul carico di rottura del finale.
Attualmente, il mercato offre una scelta veramente vasta di mulinelli da mosca, alcuni dai prezzi astronomici altri con prezzi medio bassi . Da preferire i modelli semplici purchè rispondano ai requisiti di chi lo adopera.

mercoledì 29 luglio 2009

La canna





Dopo aver scelto il numero della coda di topo per il tipo di pesca da fare, si passa alla scelta della canna. La canna è, senza dubbio, l'attrezzo di maggior importanza. Non saremo mai pignoli abbastanza nella scelta della canna; troppi sono i requisiti che deve avere e quindi dovrà essere esaminata con la massima cura. E' impossibile valutare la qualità di una canna provandola semplicemente senza coda di topo; anche l'intenditore più esperto può essere facilmente ingannato selle caratteristiche principali della sua azione e potenza. Solitamente tutte le canne da mosca, e in particolare quelle costruite in bamboo refendù, danno la senzazione di scarsa rapidità e di mancanza di potenza, se provate senza la coda di topo. Preparate con un'adeguata lenza, esse rivelano, nella maggioranza dei casi, una dinamica complettamente diversa e mettono in luce quei pregi che altrimenti non si potrebbero individuare. Ma, bisogna anche sapere valutare i difetti e conoscere esattamente le caratteristiche tecniche che l'attrezzo deve avere.
L'acquisto di una canna da mosca da quattro soldi, così tanto per imparare, serve solo a buttare quei quattro soldi in quanto è proprio il neofita che deve disporre di un attrezzo valido che lo aiuti all'inizio; una canna qualunque avrà il solo pregio di moltiplicare gli inevitabili errori iniziali.
Le canne da mosca nel corso degli anni hanno subito notevoli trasformazioni, in questo ultimo scorcio di secolo le più importanti innovazioni si sono verificate grazie all'impiego dei nuovi materiali in composito di carbonio.
Le canne in bamboo refendù, che hanno dominato la scenario della mosca per quasi cento anni, sono oramai relegate al ruolo di attrezzi da collezione, mantenendo però tutt'ora un indiscusso fascino. Vengono ancora prodotte dalle poche ditte artigiane rimaste, perlopiù inglesi e americane. Anche da noi in Italia ultimamente ci sono degli appassionati che costruiscono degli ottimi prodotti. Esse sono costruite con sei listelli di bamboo a sezione triangolare, opportunamente tagliati, rastremati e assemblati. La fabbricazione di queste canne è una vera propria arte, richiede tempi di lavorazione lunghi e una abilità manuale non indiferente. Lo stesso bamboo deve possedere particolari requisiti di età,stagionatura, luogo di coltura eccetera eccetera. Queste canne necessitano di una manutenzione accurata e, in ogni caso, con l'uso tendono a sfibrarsi irrimediabilmente.
Viceversa le canne in carbonio, pur necessitando di una tecnologia avanzata per la produzione prima, non richiedono procedure particolarmente complesse per la loro produzione. E anche la loro manutenzione è minima. Sono inalterabili con l'uso e, se non subiscono incidenti traumatici come urti violenti, schiacciamenti o anche cose simili, sono pressochè indistruttibili.
Una canna da mosca veniva in gran parte relizzata in due pezzi ma attualmente vengono costruite in tre, quattro o addirittura in cinque o sei pezzi per la comodità di trasporto.
L'elemento base della canna da mosca e detto "calcio" e comprende l'impugnatura e il portamulinello. Quest'ultimo è sempre situato all'estremità inferiore del calcio e, quindi, dell'impugnatura stessa.
Sull'elemento base si innestano gli altri pezzi che generalmente, nelle canne a due elementi, sono di misura uguale al precedente, così pure per le cannne a più elementi. Vi possono essere alcuni modelli in cui il vettino è più lungo del calcio e questo per ottenere azioni particolari. I diversi elementi sono uniti fra loro con vari sistemi. Nelle canne in grafite si hanno due tipi di innesti fondamentali, uno detto "spigot" e un altro detto a "cappuccio". Nelle canne realizzate invece in bamboo esagonale, le ghiere di innesto sono metalliche(bronzo o nikel-argento) del tipo maschio - femmina.
La lunghezza delle canne, se si escludono quelle impiegate per la pesca al salmone utilizzabili a due mani, che raggiungono anche lunghezze di sedici piedi(4,80 m.), variano da 1,80, sei piedi a 3 m., dieci piedi , eccezzionalmente anche 3, 30 m., undici piedi. Tutte queste canne si impugnano e si manovarano con una sola mano. Sulla canna sono montati glio anelli in numero variabile a seconda della lunghezza. Questi anelli che comprendono un anello di partenza, varie sepentine e un puntale, devone essere in numero sufficiente e ben distribuiti, in modo che la coda possa scorrere agevolmente senza eccessivo atrito. Devono essere realizzati in acciaio temperato e cromati in modo da non usurarsi con il continuo scorrere della coda.
Sul calcio della canna è montata un'impugnatura, realizzarta in sughero, alla cui estremità inferiore è collegato il portamulinello che può essere del tipo con ghiera a vite o, più semplicemente, ad anello scorrevole.
Vi sono varie forme di impugnature: a sigaro, mezzo sigaro, conica e cilindrica, la scelta è soltanto un problema di preferenza individuale.
A parer mio l'impugnatura cilindrica è più adatta per impugnare la canna con il pollice e quella conica serve meglio impugnare la canna con l'indice. Inoltre, mentre l'impugnatura conica meglio si addice alle canne leggere o di limitata lunghezza, l'impugnatura cilindrica è meglio indicata per canne pesanti e di lunghezza maggiore.
Tutte le canne da mosca sono costruite secondo due variabili fondamentali: l'azione e la potenza.
Definire l'azione di una canna in modo netto non è affatto facile, anche perchè molti attrezzi moderni hanno livelli di progettazione intermedi tra quelle che definiremo le due azioni moderne fondamentali: quella di punta e quella parabolica. Un tempo esisteva anche l'azione "di pancia", all'inglese, ma tale azione ha cessato ormai di esistere con l'avvento di materiali di costruzione con massa minore e maggiore rapidità.
Si definisce di punta una canna che ha un fusto(parte inferiore) piuttosto rigido e un vettino leggermente più morbido. Tenendo presente che l'azione può essere variata in progettazione, spostando più o meno il alto sul vettino la parte maggiore flessibilità, il vantaggio di una canna così concepita è rappresentato da una grande sensibilità di vetta che agevola largamente il lancio a corta distanza.
La progettazione parabolica comporta, rispetto a quella di punta, parità di livello di curva, un fusto più morbido e un vettino più rigido. Attualmente, pero, le maggiori case costruttrici sono orientate a costruire attrezzi che rappresentano un compromesso fra queste due soluzioni, con conseguenti risultati intermedi: tedenzialmente paraboliche oppure tedenzialmente di punta.
La tecnica di lancio moderna presuppone le canne ad azione parabolica progressiva. Questo tipo di azione consente di eseguire lanci con grande rapidità e si adatta alla maggior parte dei pescatori.
La potenza rappresenta la possibilità che una canna ha di lanciare un certo peso, costituito in questo caso dalla coda di topo. Pertanto, ogni canna da mosca che si rispetti reca stampigliato sul calcio, oltre il nome della ditta produttrice, la lunghezza in piedi e il numero di coda (o code) per cui è stata progettata, per cui si può definire potente una canna in grado di lanciare bene code pesanti, mentre tale non potrà essere una realizzata per code leggere.
La rapidità è invece la velocità di ritorno di una canna dopo aver subito una deformazione elastica; più veloce sarà il ritorno, maggiore sarà la sua rapidità.
Azione e potenza di una canna non sono variabili dipendenti fra loro, infatti si possono avere canne della stessa potenza ma di differente azione.
Scelta della canna.
Le canne corte, diciamo sino a 8 piedi, sono consigliabili per chi frequenta ambienti di pesca ristretti, dove è necessario un lancio agile, corto e preciso oppure in ambienti ampi che richiedono agilita di manovra per le frequenti e svariate modulazioni di lancio come nel caso della tecnica di pesca con la mosca secca. Inoltre la canna corta può ottenere rapidità anche con livelli di rigidità non troppo elevati, è quindi la più adatta per lanciare code molto leggere in situazioni di pesca che richiedono pose delicate e silenziose.
La canna più lunga favorisce, invece, il raggiungimento di notevole distanze laddove si ricerchi un lancio più di massa che di velocità. Un simile attrezzo, quando si adopera la sommersa, agevola il pescatore nel controllo di lenza-artificiale e può essere utile per evitare il dragaggio.
Se si pesca in ambienti ristretti, oppure a secca, e meglio dare la preferenza a canne intorno ai sette piedi e mezzo-otto, mentre se si pesca a ninfa o a sommersa si può salire anche ad attrezzi sugli otto e mezzo-dieci piedi. Tenendo conto di queste indicazioni ogni pescatore adotterà poi la canna più adatta alle proprie esigenze di pesca.
Un discorso a parte per le canne riducibili:
Ideate nel 1978 dal nostro conregionale Francesco Palù, rappresentano un prodotto prestigioso,
la felice idea di un sistema di riducibilità brevettato, ha offerto la possibilità di racchiudere più misure in una sola canna, consentendo di ridurre canne di m. 4.80 anche a soli m. 1.60.
Sviluppate in cinque diverse azioni n°1 dolce - n° 2 media - n°3 rigida - n°4 omogenea - n° 5 super rigida, consentono di affrontare qualsiasi azione di pesca.
Il sistema di riducibilità, consente di regolare la lunghezza della canna, per adattarla alle singole azioni di pesca.
La naturale evoluzione delle teleregolabili portò dopo qualche tempo alla nascita della Polivalente, sempre in 5 azioni. Una sbalorditiva macchina per lanciare dalle molteplici misure, utilizzabile sia ad una che a due mani, portante indifferentemente code dalla 2 alla 8.
Pratiche e comode, quattro i fattori rilevanti: danno la concreta possibilità di realizzare tutte le tecniche di lancio, sia classiche che moderne, con l'impiego delle misure corte (m. 2.00 - 2.40 - 2.80 - 3.20) facilitano e semplificano le tecniche stesse con l'uso delle misure lunghe (m. 3.60 - 4.00 - 4.40 - 4.80) che, impiegate a due mani, permettono inoltre l'esecuzione di una tecnica fuori del comune, di altissima spettacolarità, consentendo lanci anche di 40 - 44 m. e più, con un solo movimento.
Consentono di pescare dalla riva, eliminando così il disturbo provocato dai movimenti in acqua,
sono uno strumento di elevata duttilità di impiego e di enorme praticità anche in viaggio.
Chi le impiega da anni, le considera insostituibili e poi la gran trovata del manico in pelle che la rende unica nel suo genere.
La mia una mini da m.3,20 la considero l'ammiraglia della mia flotta di canne.

sabato 25 luglio 2009

La coda di topo













Stranamente, per la maggior parte dei pescatori la scelta di un'attrezzatura per la pesca a mosca non incomincia, come ci si potrebbe immaginare, con la canna da pesca, ma con la coda di topo o, per meglio dire, con la scelta del suo peso. Diversamente dalle altre tecniche di pesca, l'esca, in questo caso, non ha peso sufficente per piegare la canna, caricarla e, quindi, passando per la posizione originaria, catapultare lontano. L'unica cosa in grado di essere lanciata a una certa distanza è la coda di topo, ed è essenziale che questa sia in grado di far caricare al massimo la canna per poterla poi scaricare durante il lancio. Di conseguenza, non si può scegliere una canna fino a quando non si conosce il peso della coda di topo che si vuole usare, e ciò in funzione del luogo di pesca e, almeno in parte, delle preferenze personali.
La buffa traduzione italiana, "coda di topo", dall' inglese flyline, deriva dal suo profilo. Tale profilo, parzialmente conico, è il motivo per cui questa lenza è stata associata, con molta fantasia in verità, alla coda di topo.
Fino ad alcuni anni or sono, le code di topo erano generalmente costruite con seta trecciata ed appesantita, impermealizzata all'olio di lino ad alta pressione. Oggi giorno questo procedimento è stato quasi del tutto abbandonato, in commercio ci sono code di questo tipo, fatte da appassionati di cui uno è un nostro connazionale di Roma: Terenzio Zandri(htppt://www.terenziosilklines.com). Ho una sua coda inbobbinata nel mulinello di legno in radica di Dallari che uso raramente, almeno una volta all'anno, con la mia canna in bamboo refendù, insomma, sono " cosette" da sborroni che fa piacere metterle in vetrina ognitanto.
Le code moderne strutturalmente sono costituite da un'anima interna in filato tubolare di nylon trecciato tipo"dacron" e da un rivestimento esterno in materiale sintetico di varia natura in relazione al fatto che si tratti di una coda galleggiante oppure affondante, sono il risultato di decenni di esperimenti e di ricerche. Devono poter essere lanciate molto bene, fendere l'aria innalzarsi senza problemi e, grazie alla loro superfice liscia, avere una buona proiezione. Le code vengono costantemente migliorate e nello stesso tempo in cui vengono create le code adatte a tutti gli usi, sono nate molte code per impieghi particolari, che rendono possibile al pescatore attrezzarsi per qualsiasi tipo di pesca.
Tutti i fabbricanti hanno adottato un sistema di standartizzazione delle code di topo messo a punto dall'American Fishing Tackle Manufacturers Association (AFTMA). La numerazione AFTMA ,da #1 a #15 , non tiene conto del diametro della coda ma solamente del peso dei primi 30 piedi (9,14 m.), che sono in media quelli che normalmente agiscono fuori canna in azione di pesca. Le code fino al numero #3 sono molto leggere e si possono usare per le esche più piccole in giorni privi di vento. Dal numero #4 al #6 coprono la maggior parte delle necessità sia per la pesca con la mosca secca che per quella sommersa, anche se ultimamente va di moda per la sommersa la coda numero#3 . Per la pesca con lo stramer una coda più pesante che permette un lancio perfetto anche con mosche grosse. Mentre per le code dal #10 al #15 sono destinate a salmoni e grossi pesci di mare.
Le code di topo possono essere galleggianti, affondanti o con la punta affondante.
La prima o le prime lettere delle norme AFTM classificano la coda di topo come:
uniforme-(level=L)
doppio fuso-(double taper= DT)
peso decentrato in avanti-(weigth-forward= WF)
spezzone di coda da lancio(shooting-head o shooting-taper= SH).
Per la pesca con la mosca secca e sommersa, ma anche per la ninfa, si usano code galleggianti (F= floating), nelle acqua poco profonde. Nelle acque più profonde si impiegano code con la punta affondante (F/S = floating/sinking) o code esclusivamente affondanti(S = sinking).
Le code F/S e S rientrano in diverse classi di affondamento: quelle ad affondamento lento sono adatte solo per le acque ferme. Più forte è la corrente e più veloce deve essere l'affondamento della coda.
IDENTIFICAZIONE DELLE CODE DI TOPO
Esempi:
L-6-F(level - n.°6 - floating) coda uniforme(level), del n.°6(peso dei primi 9 m.)galleggiante.
DT -5-S (double taper - n.°5 - sinking) coda doppio fuso, del 5 affondante
WF -6 -F (weight foward -n.°6 floating) coda decentrata, del 6 galleggiante
ST - 10-F (shooting taper - n.°10 - floating) spezzone di coda, del 10 galleggiante.
Altre terminologie:
SLOW SINKING = coda di topo ad affondamento lento
FAST SINKING = coda di topo ad affondamento veloce
EXTRA FAST SINKING = coda di topo ad affondamento rapido
HI-D-SPEED = coda di topo ad affondamento rapidissimo
WET-TIP = coda di topo galleggiante con i primi 3 m. di punta affondanti velocemente
WET-TIP HI-D = coda di topo galleggiante con i primi 3 m. affondanti molto rapidamente

venerdì 24 luglio 2009

Attrezzatura base


Il passo più difficile(ma anche il più piacevole) da compiere per entrare nel mondo della pesca a mosca riguarda la scelta dell'attrezzatura. I componenti di base sono: la canna, il mulinello, la coda di topo, i finali, e le mosche.
Altri accessori possono essere più o meno indispensabili: il gilet da pesca, le scatole portamosche, il distributore di nylon, il tagliafilo, lo spillo, le pinzette schiaccia ardiglione, gli addittivi per il galleggiamento delle mosche, lo stendifinali, il guadino, gli stivali eccetera eccetera...........
Molto più importante di ciascun singolo componente, tuttavia, è il rapporto che li lega uno all'altro.Componenti omogenei, che lavorano in modo piacevole ed efficente, costituiscono un insieme "bilanciato", condizione indispensabile nella pesca a mosca.
L'equilibrio tra i vari componenti, tuttavia, non è sufficente. Per quanto bilanciata possa essere una attrezzatura per la pesca del tarpon( pesce che vive lungo le coste della Florida e nel mare delle Antille, ricercatissimo dagli appassionati pesca a mosca, la sua lunghezza può raggiungere i due metri per il peso di un centinaio di chili), non sarà affatto indicata per un uso costante su piccoli corsi d'acqua, così come una leggera attrezzatura per la pesca nei torrenti, non sarà certamente l'ideale per andare in cerca di silver salmon in Alaska.
Questo è il punto di partenza per la scelta dell'attrezzatura: il tipo di pesca che s'intende praticare in prevalenza.

martedì 21 luglio 2009

La pesca a mosca in poche parole













La pesca a mosca è il massimo dei piaceri! Un piacere, una gioia che non conosce le barriere dovute all'età, alle condizioni sociali ed economiche.
Cosa dire di questa tecnica, molto simplicemente che la pesca a mosca comprende così tanti e diversi argomenti che per conoscerli tutti veramente a fondo ci vuole una vita intera.
Per riuscire bene nella pesca a mosca bisogna spaziare in tutti i campi che compongono questa disciplina: lo studio degli insetti, di cui si cibano i pesci(entomologia), il lancio e la costruzione dell'artificiale, lo studio degli habitat d'acqua dolce(limnologia), tecniche di pesca e infine, ma non per questo meno importanti, la storia e le tradizioni della pesca. Ciascuno di questi argomenti può divenire così complesso da arrivare a essere un hobby per conto proprio.
Il concetto di base di questa pesca è molto semplice e il sistema assai antico. Si è osservato che nelle acque dei fiumi e dei laghi prolifera un'abbondante microfauna, che rappresenta una porzione non trascurabile nella dieta di molti pesci. Una parte di questa microfauna è composta da insetti di varie specie, i quali hanno, anche se in modo diversificato, cicli di vita e di sviluppo misti. Passano, coiè, una parte della loro esistenza allo stadio subaqueo e quindi, per successive trasformazioni, lasciano questo stadio divenendo adatti all'ambiente esterno, a volare liberamente nell'aria. In breve tempo, questi insetti si accoppieranno, deporranno le loro uova sull'acqua e finiranno la loro esistenza concludendo l'intero ciclo vitale.
Dall'osservazione di questi fenonmeni naturali e dal tentativo di imitarli artificialmente ha preso vita la pesca con la mosca artificiale. In pratica si cerca di realizzare su un amo, utilizzando materiali vari come piume , filati, peluria e altro, un'imitazione più verosimile possibile al tipo di insetto, oggetto di predazione da parte del pesce.
Con un'attrezzatura idonea e attraverso una tecnica precisa, questa imitazione dovrà essere depositata sull'acqua, nel luogo in cui il pesce, in quel momento, è attivo. Se l'imitazione sarà quella giusta, e se questa sarà depositata con sufficiente naturalezza, il pesce cadrà nell'inganno e la carpirà. In questo preciso momento il pescatore dovrà alzare la canna e il pesce verrà quindi allamato.
La pesca con la mosca artificiale, a seconda che si decida di insidiare pesci a "galla" o sott'acqua, , impiegando in un caso imitazioni atte a galleggiare sulla superficie e nell'altro imitazioni concepite per affondare sotto di essa, si divide in due branche: pesca a mosca "secca" e pesca con la mosca "sommersa". Sempre riconducibili alla "sommersa" sono da considerare la pesca a "ninfa" e la pesca con lo "streamer".
La specie di pesci che la gran parte dei pescatori a mosca interessa sono senza dubbio, la trota e il temolo. Questi pesci vengono insidiati impiegando generalmente le stesse mosche, in quanto, pur avendo diete diversificate, si cibano in parte o per la quasi totalità, degli stessi insetti che nascono, si sviluppano e muoiono nelle acque da loro popolate.

lunedì 20 luglio 2009

Immagini d'epoca

In Gacka, 1988, con la mitica canna di Palù, la tecnica lascia un po' a desiderare
1988-Il sottoscritto davanti all'entrata dell'Hotel Gacka


Ecco i tre protagonisti della storia in una foto dell'epoca:
Da sx. : Egidio-Giovanni-ed il sottoscritto








Storia








LA PRIMA VOLTA IN GACKA
Erano esattamente le ore 1.30 del mattino di venerdì 13/07/1984 quando siamo partiti all’avventura per coronare finalmente un sogno rincorso da molto tempo: Pescare a mosca su fiumi al di fuori dei confini nazionali. Eravamo pronti, il momento magico era giunto, le condizioni fisiche ed economiche lo permettevano, i tempi erano maturi per iniziare questa prima avventura, insomma, la voglia di fare una “zingarata” era presente costantemente nei nostri pensieri. La destinazione era Il fiume Gacka, il chalck stream più famoso d’Europa per i pescatori a mosca, di selvaggia e rara bellezza, situato a 270 Km. da Casarsa della Delizia in provincia di Pordenone, in Yugoslavia e precisamente a Licko Lesce, a 50 Km. all’interno da Senj, piccola cittadina di stampo veneziano sulla costa dalmata, sono bellissime le sue calli e il castello che domina la cittadina dall’alto del suo colle. Eravamo in tre: il rag. Giovanni, Egidio ed io, saliti sulla mitica Lancia Prisma di color canna di fucile, ci accingevamo per la prima volta, con pochissima esperienza piscatoria a uscire dai nostri luoghi comuni, per avventurarci in un qualcosa di più grande a noi allora sconosciuto. La scelta del fiume Gacka non fu per caso, lo si conosceva solamente tramite la rivista Pescare e soprattutto grazie agli articoli di Francesco Palù, che ne decantava le proprie esperienze e metodi di pesca, tutto correlato di foto bellissime che lo ritraevano in un modo molto invitante. Data poi la distanza e il cambio a noi favorevole fra il dinaro e la nostra lira. Giovanni il più girovago di noi tre, mesi prima si era fermato una notte all’Hotel Gacka, di ritorno dai laghi di Plitvice e non faceva altro che raccontare quello che aveva visto lungo le sponde del fiume. Dalla sua esperienza vissuta fece scattare in noi il desiderio di frequentare posti nuovi, che in seguito ci accompagneranno in giro per i fiumi di mezza Europa. La decisione di partire fu presa davanti ad una pizza una sera d’inizio giugno al ristorante “Al 900” di Casarsa. Come di solito ogni venerdì sera ci s’incontrava per organizzare le uscite di pesca del sabato o della domenica. Da oltre cinque anni, in quel periodo, ci si dedicava alla pesca a mosca, con risultati soddisfacenti, questo era quello che pensavamo, anche dal fatto che le catture, soprattutto trote, le prendevamo senza tanti patemi, i nostri campi di battaglia erano le rogge e le risorgive della provincia di Pordenone. Solo il ragionier Giovanni aveva partecipato a un corso di pesca a mosca, organizzato da Giovanni D’Este proprietario di allora del negozio ERREPI a Udine, mentre Egidio, il grande vecchio, è il più anziano di noi tre, un autodidatta che per primo ha avuto l’onore di possedere la prima canna di pesca a mosca tramite un regalo, anni addietro, in bamboo refendù. Le capacità e le conoscenze di Egidio sono innumerevoli, su tutti i campi, dalla caccia, alla pesca, ai funghi, gran conoscitore di piante, fiori, animali e per finire ha un debole per le donne, insomma un guru( termine sancrito che presso la religione induista ha il significato di maestro o precettore spirituale), dove tutto quello che so, è per merito suo, è stato il mio maestro di vita nell’ambito della pesca e dei funghi, gli sono veramente riconoscente. L’idea di diventare pescatori a mosca era stata di Giovanni, che, all’insaputa di tutti, ha partecipato al primo corso tenutosi a Udine. Uno dei tanti motivi che l’ha spinto a fare il corso era anche quello che gli fa schifo prendere con le mani i vermi per l’innesco. Egidio che in quel periodo sapeva lanciare benissimo, riusciva, con gran meraviglia di tutti a saper fare il tutto fuori coda dal mulinello, però non andava mai a pescare con questo nuovo, per noi, sistema di pesca. La voglia di provare nuove tecniche di pesca diverse da quelle tradizionali, esche naturali e cucchiaino, era un modo per evitare che la nostra pesca diventasse la solita solfa e poi in Friuli la pesca a mosca in quegli anni stava facendo passi da gigante, ed era anche un motivo di orgoglio far parte dell’èlite della pesca con la canna. Un modo come un altro per distinguersi dagli altri. La voglia di diventare un pam era da parte mia un’ossessione e solamente dopo che il mio amico e collega Dino, anche lui alle prime armi, mi regalò una canna in fibra di vetro e quattro mosche, mi decisi finalmente a provare. Mi diede in prestito mulinello e coda, con la promessa di ritornare il tutto se un giorno decidevo di arrendermi alle difficoltà che incontravo, ma con l’aiuto e la grande pazienza di Egidio iniziai a fare i primi lanci e le prime uscite di pesca. La mia prima cattura, una trota fario, la feci sulla roggia Lin vicino a casa. La soddisfazione della prima cattura a mosca non si scorda, rimane un ricordo indelebile come la prima volta che si fa all’amore. A Dino restituii dopo un paio di mesi il mulinello con coda, mentre la canna la regalai a un ragazzo un paio d’anni dopo . Per entrare in Yugoslavia ci voleva il passaporto ed Egidio ed io non lo avevamo. Per il rilascio del documento per l’espatrio ci vuole la firma del coniuge e almeno due mesi di attesa per averlo, questo era quello che l’ufficio passaporti ci disse. Disperazione più assoluta da parte mia e di Egidio, ma per fortuna consistiamo in Italia, un amico che conosce un amico che questi conosce un altro e quell’altro conosce…………… e alla fine nel giro di una ventina di giorni il passaporto lo avevamo nelle nostre mani. Rimaneva l’ultimo ostacolo: le consorti. Ero sposato da pochi anni con un figlio a carico e, conoscendo bene mia moglie, andava in crisi solamente a pensare che mi trovassi in un paese straniero e per giunta comunista, temeva per la mia incolumità. Egidio pure lui aveva le sue difficoltà famigliari, chi invece non aveva nessun tipo di problema era Giovanni. Il ragionier Giovanni, sposato con una figlia a carico di questi pensieri non ne ha mai avuti, beato lui. Funzionario di banca, uomo stimato e punto di riferimento dell’unica banca esistente nel paese di Valvasone e gran pescatore a mosca, per noi due è come l’aspirina, il nome del ragionier è per le nostre consorti da sempre la fine dei timori e delle ansie. BALLA ELEVATA AL CUBO. In comune accordo avevamo deciso che: La direzione generale della Banca del Friuli, organizzatrice in passato di gare alla pesca alla trota con la mosca fra i dipendenti delle banche, incaricava il ragionier Giovanni di recarsi in Yugoslavia e precisamente nel comprensorio dei laghi di Plitvice sul fiume Gacka per verificare la possibilità di una gara internazionale di pesca alla trota a mosca fra i dipendenti bancari delle tre nazioni confinanti: Austria, Italia e Yugoslavia, per incrementare il clima distensivo fra i popoli di confine. Spesati di tutto, poteva portare alcuni esperti consulenti; Egidio ed io eravamo i suoi “consulenti”. Io le bugie non le so dire e perciò raccontai alla moglie la pura verità e lei a suo malgrado accettò la situazione avendo saputo l’esito positivo dalle altre. Le raccomandai di essere molto evasiva se la moglie di Egidio le telefonava per chiedere spiegazioni, pare che quest’ultima la storiella se la sia bevuta, lui è un grande per queste cose. Fissammo il giorno e l’ora della partenza, venerdì 13 luglio alle ore 6.00. Giovedì 12 sera ci incontrammo sempre al solito posto, per mettere a punto gli ultimi dettagli , ma Giovanni quella sera non aveva lo spirito giusto per affrontare l’inizio dell’avventura, aveva avuto in giornata qualche problema fisico che metteva in forse la partenza, a quel punto a noi due ci crollò il mondo sulle spalle. In un battito avevo rivisto tutte le fatiche che avevo fatto, per essere pronti per partire, dal passaporto, la moglie e soprattutto convincere il mio capo a darmi un giorno di ferie. Eravamo lì davanti ad un caffè con il morale a pezzi quando il ragionier Giovanni sentenziò: E se partiamo domani mattina prestissimo alle ore 1.30? A volte sa di essere sàdico! Lo stupore per quella sparata ci ha lasciato secchi, fino a pochi minuti prima il tutto era andato a puttane. Accettammo subito prima che cambiasse idea di nuovo; la motivazione a quell’ora della partenza era di sfruttare appieno la giornata a pesca fin dal mattino presto. La voglia di partire aveva prevalso su tutto, erano circa le ore 23.00 quando lasciammo il bar, ci rimanevano poche ore per andare a preparare i bagagli e dare una spiegazione alla moglie per questo cambio di orario. Il bagaglio per pescare era pronto da un paio di giorni, rimaneva da riempire il borsone degli effetti personali. Riempito assieme alla moglie imbronciata, mi distesi sul letto vestito e dormii una mezz’oretta. All’ora stabilita la Lancia Prisma del ragionier Giovanni, assieme ad Egidio si fermava davanti al cancello di casa: finalmente si partiva. Con l’entusiasmo di tre ragazzini dopo l’ultima ora di scuola prima delle vacanze estive, passammo il confine senza nessuna difficoltà a Basovizza e ci inoltrammo verso Rjeka (Fiume). Dopo un’ora e mezza di viaggio, Giovanni si accorgeva che nella tabella di marcia eravamo in anticipo e ci propose……………. e lui è sempre quello che propone, di fermarsi in un’area di sosta per le automobili lungo la statale per dormire un pò, almeno un’oretta. Ci fermammo in un posto non del tutto isolato, c’era pochissimo traffico, ma quello che ci impediva di dormire oltre all’eccitazione del fatto a essere in piena avventura in un paese del tutto sconosciuto e comunista e che la meta del nostro viaggio era vicina, era il passaggio continuo di treni merci, eravamo fermi a una decina di metri dalla ferrovia. Giungemmo a Rjeka verso le 4.00/4.30, città tutta addossata verso il mare e molto lunga, non si finiva mai di attraversarla, oltre a noi erano in movimento solo gli operatori ecologici, con sorpresa notammo che tra loro c’erano più femmine che maschi, questo è il comunismo ho pensato. Nessuna donna si sarebbe sognata di fare quel lavoro in Italia. Con le prime luci dell’alba si vedeva il colore chiaro della costa dalmata piena d’insenature naturali delle piccole baie da sogno, uno spettacolo, l’acqua del mare era di una limpidezza assoluta e poi l’isola di Krk che ti accompagna fino a Senj, la nostra meta scelta per la sosta prima di inoltrarci verso l’interno. A Senj per fortuna in piazzetta c’era un bar aperto e prendemmo un caffè, se si vuol chiamare caffè un po’ di acqua calda di color nero, e poi via verso l’interno. Una strada tortuosa piena di tornanti fino al passo, poi la strada s’inoltra nella valle del Gacka. Un mare di erba di colore verde con tutte le sue tonalità. Caratteristico paesaggio unico nel suo genere, con le poche casette rurali sparse qua e là, gente che si dedica alla pastorizia e all’agricoltura. Otocac il paese più grande e punto di riferimento nella valle dista a pochi chilometri dalla nostra meta. Da Otocac a Licko Lesce sono undici Kilometri con quella strada unica al mondo, tutta rattoppata di asfalto e piena di buche con i suoi avvallamenti in mezzo alle case con un’illuminazione da terzo mondo, strada con il buio diventava impegnativa e molto pericolosa. Ci fermammo sul ponte del fiume Gacka sulla statale per Gospic per dare un’occhiata veloce al fiume, il quale ci colpì per le dimensioni e per la quantità d’acqua che porta e per la calma piatta della sua corrente. Eccitati al massimo con il cuore che batteva a mille alle ore 6.30/7.00 la Lancia Prisma del ragionier Giovanni fermava nel parcheggio dell’Hotel Gacka. Non c’era un’anima viva in giro, quattro o cinque macchine parcheggiate con targhe straniere, tedesche e austriache, una sola croata, nella reception dell’albergo non c’era nessuno, era ancora troppo presto. L’impressione era positiva nel vedere un Hotel costruito e ben funzionante in ragione esclusiva per pescatori e cacciatori nel periodo invernale. Nell’attesa che arrivi qualcuno alla reception per le camere, decidemmo di andare a vedere il fiume dietro l’albergo. La caratteristica che colpisce chi per la prima volta si avvicina al fiume era il ponticello di travi che ti conduce alla riva opposta del fiume e alla diramazione alla destra verso monte che superava il piccolo affluente e raggiungeva la stradina vicino alle case. Egidio ed io abbiamo attraversato il ponte e ci siamo incamminati verso monte, mentre Giovanni rimase vicino alla macchina, non si sa mai! Quello che noi due abbiamo visto ci rimarrà impresso nella mente per tutta la vita. Trote da capogiro a livello di superficie che “ninfavano”, con un’acqua splendida e trasparente e vedevi il fondo profondo almeno quattro metri in alcuni tratti, dove trotoni da oltre 60 cm. stavano immobili sul fondo ai bordi degli erbai. Che batticuore, trote grosse così le avevamo viste solamente nei laghetti a pagamento a Cornino e a Villanova di S. Daniele. Tornati da Giovanni, il quale ci propose:- Dopo aver preso le camere, sarebbe bello andare ai laghi di Plitvice a fare un giro in modo che possiate vedere una delle meraviglie del mondo. A malincuore Egidio per non contraddirlo acconsentiva a denti stretti e da parte mia avevo la voglia di dire: Ma come? davanti a questo ben di Dio……………….e per non fare il solito bastiancontrario, dissi di si anch’io con il sorriso sulle labbra. Conosciuto nel frattempo Milan Stefanac, capo dei guardiani, grande personaggio e disponibilissimo con tutti nel dare consigli e dritte per pescare in quel fiume, finalmente la burbera impiegata alla reception prendeva servizio e sbrigate le solite formalità e deposto il bagaglio in camera, dopo dieci minuti eravamo già di nuovo in macchina per fare i sessanta Kilometri che separavano l’Hotel dai laghi. Strada tranquilla con poco traffico, al passo per la prima volta vidi un orso alla stanga, un metodo zingaresco per tenere a distanza di sicurezza la bestia, un’attrazione per le foto ricordo per i turisti di passaggio verso i laghi. Povera bestia mi faceva compassione. I laghi sono bellissimi, la natura si è divertita a creare questo immenso parco d’acqua, dove i laghi superiori si gettano su quelli inferiori creando una serie di cascate meravigliose agli occhi di tutti, caratteristici sono i passaggi sopra le acque di risorgiva con i ponticelli di tronchi in rovere. Fatto il percorso più corto e fatto alcune foto ricordo con la macchina antiquata di Egidio, ancora adesso stiamo aspettando di vedere una foto da quella volta, mangiato un panino, bevuto una birra eccoci di nuovo in macchina per fare i sessanta Kilometri di ritorno. Arrivammo in albergo verso le 16.30/17.00 non tenevamo gli occhi aperti per la stanchezza, finalmente ho proposto qualcosa anch’io:- Andiamo a riposare fino all’ora di cena e a pescare ci penseremo domani. Per primo giunsi in camera e in un batter d’occhio mi son fatto la doccia e mi sono infilato sotto le lenzuola e mi sono addormentato subito. Non avevo fatto neanche un sonnellino che il telefono della reception mi svegliava:- Pronto, dissi con una voce baritonale. Dalla parte opposta mi sento rispondere:- Tosatto, sveate che il sol xe alto e in Gacka se vien a pescar non a dormir. Non riuscivo a capire chi era questo tipo. Risposi di nuovo:- Pronto? Lui di nuovo: -Tosatto sveate che son Palù, vien zo che te spetemo per andar a pescar al terzo ponte assieme ai to do amici. Risposi: - vegno subito. Mentre mi vestivo, pensavo:- che casso vuole questo qua, come avrà fatto sapere che sono in questa camera? Prima di scendere presi dalla valigia le riviste di Pescare, dove Palù aveva scritto articoli sul Gacka. Lo riconobbi subito dalla lunga barba bianca e dai capelli color argento e dagli zoccoli di legno che porta sempre, assieme a lui c’erano Egidio e Giovanni. Li aveva fregati, nel momento che stavano per salire in camera, hanno avuto l’incontro e Palù quando fiuta la preda, non ti molla più, fa anche rima, era arrivato in quel momento per il week end a caccia di clienti. I polli da spennare eravamo noi, non c’era nessun altro italiano in quel periodo. Il mese di luglio non era quel che si dica il migliore per la pesca a mosca secca, e noi sapevamo fare solo quella tecnica e anche non bene. Fatto il permesso, Palù assieme ad Egidio partì con la sua macchina davanti a quella di Giovanni per insegnarci la strada. Arrivati al terzo ponte, posto meraviglioso, il maestro tirava fuori dal bagagliaio della sua Mercedes una serie di canne da far invidia a un negozio. Per la prima volta vedemmo una canna a mosca telescopica riducibile a varie misure, mentre la preparava per pescare, ci spiegava i pregi dei suoi attrezzi, lasciandoci increduli e disorientati. Dopo la canna è passato alla serie delle mosche; mamma mia! quante e che spettacolo vederle tutte allineate in ordine nelle scatole con il coperchio trasparente. Le nostre povere mosche, copiate dalle vecchie riviste di Pescare, rimesse alla rinfusa nelle scatoline a scomparti in pvc di colore verde pisello, facevano veramente pena al confronto. Dalle indicazioni di Palù la tecnica di pesca adatta per quel mese era quella a ninfa, l’unico tra noi ad averne era Egidio il quale le distribuì in parti uguali a me e a Giovanni. Eravamo un po’ titubanti nell’iniziare a pescare, anche perché le nostre attrezzature, la tecnica e le mosche non erano all’altezza della situazione. Palù aveva capito il nostro disagio e con quattro battute delle sue, ruppe il ghiaccio mettendoci a nostro agio. Egidio in quell’occasione fu l’unico ad avere un’abboccata e anche il maestro non aveva avuto fortuna quella sera. Giovanni ed io non abbiamo pescato, a dichiarare la verità una o due passate le abbiamo fatte, ma poi siamo stati attratti dalla tecnica di Palù, gli rimanemmo nei paraggi con le nostre ridicole canne in mano a guardarlo meravigliati mentre si esibiva in lanci veramente per noi eccezionali. Il maestro in pochi minuti ci spiegò che cos’era il Gacka, i pregi e i difetti, per uno che per la prima volta ci veniva a pescare. All’imbrunire facemmo ritorno in albergo per la cena, appuntamento in sala alle ore 20.30, Giovanni ed Egidio sparirono nelle loro camere in un batter d’occhio per farsi la doccia, mentre io avendola già fatta prima, mi distesi sul letto e mi addormentai. Mi svegliò Egidio bussando alla porta, dicendomi che gli altri due erano già in sala da pranzo ad aspettarci. In sala non c’era movimento, eravamo in pochi, oltre a noi c’erano altri pescatori di nazionalità incerta. Francesco Palù si comportava come se fosse il padrone di casa, stava con tutti i compresi il personale dell’albergo; se uno entrava, immediatamente gli andava incontro per parlargli, il tedesco era la lingua che parlava meglio per i pescatori non italiani. Ho notato che mangia pochissimo, non beve caffè e alcolici, non fuma e a tavola beve acqua calda zuccherata e latte bollente con le fettine di cipolla dentro, tutto questo secondo una sua teoria per vivere meglio. A cena finita andammo a sederci come fan tutti sulle poltrone delle salette accanto alla reception e qui il maestro tirò fuori il meglio di se stesso nell’evidenziare le capacità delle sue attrezzature e dei suoi artificiali. Lo scopo era di vendere e il mondo Gacka era fatto a puntino per i suoi affari. Noi tre non ce la facevamo più ad ascoltarlo a tenere gli occhi aperti, la stanchezza, le pochissime ore di sonno della notte prima, tutte le emozioni della giornata, non si vedeva l’ora di andare a dormire. Con la promessa di pescare assieme l’indomani, lo lasciammo al suo destino, per ritirarci nelle nostre camere. Si dormiva finalmente. Alle otto e mezzo eravamo tutti giù a far colazione, la notte era trascorsa in un attimo, dormito come un ghiro in letargo. L’incontro con Palù era stato come un lampo a ciel sereno, ci ha messo in soggezione e il pensiero di passare un altro giorno con lui ci metteva a disagio, noi tre avevamo un modo di vedere la pesca a mosca tutta “internos” e trovarsi con questo personaggio tra i piedi che arrogantemente s’intrometteva fra noi con lo scopo solo di vendere i suoi prodotti ci rovinava la nostra avventura. Mi rodeva il fegato essere giudicato, io non dovevo dimostrare nulla a nessuno. Ero contentissimo della mia tecnica di pesca, delle mie mosche e soprattutto della mia canna e trovarmi vicino a uno che metteva in risalto le mie negatività, mi rompeva i coglioni. Insomma fare brutte figure davanti a certe persone non mi andava e per questo cercavo di evitarlo al massimo. Pensandoci bene, in fondo aveva ragione e anche noi questo lo sapevamo. L’abilità di un venditore si vede subito, ti coinvolge quando meno te l’aspetti e quando propose di andare a pescare a monte e a valle dell’Hotel, dove le trote bollano in alcune zone del fiume per tutto il giorno, non sapemmo dire di no. Durante la mattinata avevo avuto un paio di rifiuti, trotelle uguali come misura a quelle che di solito prendevo nelle rogge vicine casa, così pure Giovanni, mentre Egidio con la sua bravura nel lancio riuscì a catturare alcune trote iridee veramente belle. Il maestro Palù, invece era una meraviglia nel vederlo catturare sia a galla sia sotto, addirittura in più occasioni pescava con due ninfe e a fine passata riusciva a portare a riva due trote alla volta e poi la canna che adoperava era uno spettacolo, con due falsi lanci arrivava con la posa della coda a pochi centimetri dalla sponda opposta, mentre noi per arrivare con la coda oltre la metà del fiume ne dovevamo fare almeno sette. L’esibizione fatta da Palù aveva colpito. Aveva colpito il nostro modo di intendere la pesca a mosca, aveva colpito la nostra sicurezza e padronanza del concetto pesca a mosca, insomma ci aveva ridimensionato. Consideravo la pesca a mosca, fino a quel giorno, come un divertimento piacevole ed elegante, di solito coronato da un successo molto relativo, ma come mi sbagliavo! Ho dovuto ritrovarmi a spalancare gli occhi davanti a questi risultati ottenuti da un vero pescatore a mosca. Ora sapevo perfettamente che il moscaiolo completo come Palù, che nulla ignorava della mosca secca, della sommersa e della ninfa, era in grado di catturare pesci dall’apertura alla chiusura della stagione e molto spesso dall’inizio alla fine della giornata di pesca. Per ottenere questi risultati ero sicuro che l’apprendimento esigeva volontà e perseveranza, umiltà fra gente altrettanto pura, vera, tenace così com’è altrettanto vero che il cammino verso la conoscenza e la padronanza di questa tecnica è molto, molto lungo. Sono convinto che è possibile imparare a pescare a mosca a qualsiasi età purché si sia in grado di ritrovare l’umiltà necessaria per affrontare il tirocinio indispensabile. E’ questa la sola e unica vera difficoltà. In un attimo la nostra attrezzatura non andava più bene, le canne che noi ritenevamo le migliori fino a quel momento, erano inadeguate per una pesca superiore in un fiume come il Gacka. Un bravo venditore capisce quando c’è l’attimo da cogliere al volo e dopo pranzo Palù volle vedere e testare le nostre canne. Egidio per primo gli consegnò la sua canna migliore e dopo averla presa fra le mani e fatto, un tentativo di lancio esclamò: Ma che roba è questa? Non sarà mica una canna! Quando provò la mia, otto piedi in carbonio coda sei, novità in quel periodo, la “Shakespeare President 1735” comprata nel negozio Caccia e Pesca di S. Martino al Tagliamento per centoquindicimilalire fece una smorfia di dolore e capii al volo cosa significava quella smorfia. L’avevo acquistata per la bella scritta in “oro” che aveva vicino all’impugnatura, senza che nessuno mi avesse dato qualche consiglio, anche la signora del negozio non ne sapeva un bel niente delle caratteristiche della canna. Questo succede quando si entra in negozio ancora incerti e con le idee poco chiare e il più delle volte, un acquisto fatto a caso nasconde probabili delusioni future. Pure quella di Giovanni non andava bene, aveva un’azione parabolica che all’aggancio di un piccolo pesce sembrava che in canna ci fosse una trota da kilo, canna che non riusciva a” caricare” la coda per la lunghezza del lancio desiderato. Fino allora la distanza massima dei nostri lanci nelle rogge e risorgive si aggiravano sui cinque - dieci metri e le nostre canne per noi andavano benissimo per quei corsi d’acqua. Palù ci propose di provare le sue canne e noi per curiosità e anche con la voglia di toccare con mano quel diabolico strumento, accettammo con entusiasmo. Per un quarto d’ora ci spiegò le caratteristiche delle canne e ci consegnò una canna a testa secondo le nostre capacità di lancio. Ognuno di noi tre aveva avuto una canna con un’azione diversa, questo perché il mattino quando noi ci sbracciavamo, per distendere il più lontano la coda, lui ci osservava con la coda dell’occhio e aveva valutato che tipo di canna era adatta per ognuno di noi. A me diede una canna con un’azione media, a Giovanni quella con un’azione di punta, mentre a Egidio un’azione quasi parabolica, tutte e tre le canne avevano una lunghezza di metri 3.30, riducibili fino a metri 2.10, mentre Palù pescava con una di metri 4.80 riducibili a metri 1.60. Ognuno di noi mise la misura dello strumento secondo le proprie caratteristiche, io i posi sui nove piedi coda sei, il primo lancio fu devastante, mi sconvolse completamente, fino allora non avevo mai fatto un lancio così lungo. Due falsi lanci e poi subito la posa della coda e questa viaggiava a mille verso la distanza desiderata. Per la prima volta dopo centinaia e centinaia di tentativi per raggiungere la sponda opposta finalmente al primo lancio con quello strumento, ci riuscii, mi sentivo a mio agio con quella canna, come se l’avessi sempre avuta, così pure erano le impressioni di Egidio e Giovanni dopo i primi lanci. Abbandonai la compagnia e mi diressi verso valle sulla sponda opposta dell’albergo e giunsi fino alla palude, da dove si poteva andare avanti se non fare un lungo giro, ma la mia meta era proprio lì dove finiva la sponda accessibile, in quel tratto di fiume era coperto di erbaii, le trote erano in attività frenetica tutto il giorno nei corridoi d’acqua fra le erbe. Con le poche mosche secche che avevo, cercavo a tutti i costi di agganciarne almeno una non m’interessava di portarla a riva, anche perché non sapevo come avrei potuto fare con quelle erbe in mezzo al fiume, m’interessava solamente vedere come reagiva la canna con una trota in trazione e poi avere la soddisfazione di aver fatto un aggancio come si deve dopo quasi due giorni di stecca. Verso sera quando non ci speravo più, su un lancio magistrale a pochi centimetri dalla sponda opposta una trota era salita a prendere la mia mosca. Alzai la punta della canna e in acqua successe un finimondo, una trota iridea grossa fece capolino con due salti fuori dall’acqua, la tenni in tensione una ventina di secondi e poi si rifugiò in mezzo alle erbe in centro fiume e la persi. Il filo del terminale si era rotto al nodo con la mosca. Ero molto soddisfatto per aver agganciato una trota in condizioni veramente difficili, l’unica azione di pesca degna di nota in due giorni di pesca. Riconsegnata la canna al suo proprietario la sera a cena, mentre Palù girovagava per l’albergo, ognuno di noi tre raccontava le proprie impressioni al riguardo. Egidio ne era letteralmente innamorato, Giovanni, anche lui ne era entusiasta, mentre io giurai che un giorno una canna come quella me la sarei comperata. Dopo cena, niente divani, salimmo subito nelle nostre camere a preparare le valige per il ritorno, anche il maestro rientrava a Campoformido l’indomani. Domenica 15 luglio 1984 ore 9.30 partenza per il ritorno in patria, salutato Milan Stefanac e fatta la promessa di ritornare il mese di maggio dell’anno prossimo, mese per gli appassionati della mosca secca per le grandi schiuse di mayfly e sedge che fanno impazzire le trote. Egidio si era sacrificato per me, il viaggio di ritorno lo faceva assieme a Palù, sinceramente non avevo nessuna voglia di farlo con quel tipo, mi metteva soggezione e poi non avevo argomenti validi per replicare alle sue cazzate. Con il rientro in pieno giorno, osservavo il panorama, zone bellissime soprattutto la costa dalmata, peccato per la strada, con il traffico diventa pericolosa. A Povile piccolo paese vicino a Novi Vinodolski a metà percorso tra Senj e Rjeka, Palù si è fermato davanti ad una piccola trattoria gestita da due fratelli. Piatto unico, risotto con gli scampi, una cosa fuori del normale per la bontà, questa era una delle poche cose che apprezzavo in Palù, sapeva trovare i posti davvero unici. A metà luglio c’erano in vendita per i turisti ai bordi della strada fra Rjeka e Trieste, la stessa zona, dove all’andata ci siamo fermati a dormire, i primi funghi porcini, erano in mostra su delle bancarelle fatte alla buona e qualche automobilista con targa italiana era fermo per acquistarli. Appena passato il confine ci separammo da Palù dopo i saluti di rito, c’eravamo lasciati con la promessa di vederci il più presto possibile. Egidio entrando in macchina annunciava raggiante che aveva fatto il grande passo, aveva acquistato la canna e fra non molto tempo l’avrebbe avuta tra le mani. Pensai che Palù aveva raggiunto lo scopo anche questa volta, aveva convinto un pescatore a mosca ad acquistare uno strumento dei suoi, il week end in Gacka aveva dato i suoi frutti, ma che dire, è il suo lavoro, lui ci campa con un hobby diventato lavoro. Dopo quest’avventura per un bel po’ di tempo non andai a pescare, le solite rogge e risorgive non mi attiravano più. Il ricordo di quello che avevo vissuto in un fiume come il Gacka era sempre presente nella mia mente. Egidio nel frattempo aveva ricevuto la canna, mentre la guardavo il desiderio di averne una si faceva sentire sempre di più. Giovanni una sera ci convocò al solito posto, aveva cose molto importanti da dirci. Le aveva telefonato Palù il quale ci invitava a casa sua una sera, per poi andare a cena in un locale caratteristico nella zona. Egidio e Giovanni erano d’accordo di andarci, mentre io non ci volevo andare. Lo scopo di quell’invito lo sapevamo, i polli da spennare eravamo noi. Alla fine cedetti alla pressione dei miei due amici con la promessa di non spendere più di ventimila lire. A Campoformido dove il maestro abitava, ci presentò la sua bellissima moglie e tutti e cinque con la macchina di Palù andammo a Sterpo, un villaggio con poche case, dove l’attrazione più importante sono le risorgive del fiume Stella e il locale dove si mangia. Degustato una grigliata favolosa, ritornammo a casa Palù, il quale in un batter d’occhio tirò fuori dagli armadi una marea di materiale di costruzione e mosche da far invidia a un supermercato. Materiale all’avanguardia, innovativo, frutto di ricerche continue per soddisfare le voglie dei clienti, segreti che sono il frutto di anni e anni di pesca. Una quantità di cose che gli sono costate molti sacrifici, (in tempo, denaro e applicazione costante) e che sono state acquisite grado a grado, ricercando, sperimentando, osservando e confrontando i dati raccolti durante i lunghi anni di pesca, insomma un’azienda famigliare, padre, moglie, figlio e figlia dedicata a competere contro le multinazionali americane e giapponesi in un hobby che nella nostra regione stava facendo passi da gigante. Il valore in lire di quello che acquistai era molto superiore a quello che mi avevo prefissato, materiale soprattutto di costruzione e qualche mosca da tenere come campione. Pure i miei due amici acquistarono mosche e materiale lasciando sul tavolo qualche centinaio di lire. Ci lasciammo con la promessa che Giovanni ed io al più presto avremmo ordinato le canne e di ritrovarci più spesso, magari lungo i corsi della regione e soprattutto di non mancare all’appuntamento di maggio in Gacka. Giovanni fu il secondo a comprare la canna e di lì a poco tempo la ordinai anch’io. Il motivo per cui mi decisi di comprarla era che mi trovavo bene con quello strumento di lancio, la facile maneggevolezza rendeva l’azione sciolta e piacevole nella sua esecuzione, tutto con il minimo sforzo, in poche parole è una gran canna e poi non volevo far per l’ennesima volta, il solito bastiancontrario, anche se il costo di ottocentocinquantamilalire, per quei tempi non erano bruscolini. Palù per tradizione scrive sempre una dedica personalizzata sulla canna a chi gliela ordina direttamente, sulla mia ha scritto: “ A Onorio un tre mettete a posto per il ritardo”. A conclusione dopo quest’avventura avevamo capito che la pesca a mosca comprende così tanti e diversi argomenti che per conoscerli tutti veramente a fondo ci vuole una vita intera. Per riuscire in questa disciplina bisogna spaziare in tutti campi che la compongono, lo studio degli insetti, di cui si cibano i pesci, il lancio e la costruzione dell’artificiale, lo studio degli habitat d’acqua dolce, le tecniche di pesca e infine, non per questo meno importanti, la storia e le tradizioni della pesca. L’incontro con Palù è stato fondamentale e utilissimo, ci ha aperto gli occhi, fino allora quello che avevamo assimilato, magari grossolanamente, le prime nozioni, ci ritenevamo appagati, si credeva di saper tutto e si diventava insensibili alle opinioni degli altri. Le catture facili che si facevano nelle acque vicine casa ci avevano illuso, il Gacka era stato un duro risveglio, troppo spesso la concentrazione della giornata di pesca era legata solo alla cattura, il contorno diveniva, in quel tempo per noi, un qualcosa in più. “ Il pescatore è tanto più completo quanto più sa riconoscere il momento giusto per pescare sulla superficie, a mezz’acqua o vicino al fondo. E’ tanto più abile quando più sa usare il metodo appropriato nel momento più opportuno. La casualità e l’approssimazione nella scelta della mosca possono creare solo pescatori tecnicamente lacunosi, capaci di risultati brillanti soli quando tutte le circostanze giocano a loro favore ma destinati a tristi insuccessi quando devono affrontare situazioni e fiumi sconosciuti e difficili”. A titolo personale mi riconosco com’ero prima della partenza in queste frasi di Raffaele De Rosa nel suo libro “Pescare con la mosca”. Da quel giorno non mi ritenevo più appagato dei miei successi locali, ho sempre cercato di migliorare le mie prestazioni e soprattutto ho cercato di capire il perché dei miei insuccessi nelle acque dei fiumi di mezz’Europa.

Chi sono

1989-Fiume Moll a Dollach, Austria,

1991-In Idrija sopra Stopnik, Slovenia

1993-In Sava grande a Mosnje, Slovenia

1999 In Sava a Selo, Slovenia

2008-In Kupa, Croazia

Eccomi qua: Onorio Muzzin
Friulano pescatore a mosca da oltre 30 anni. Nato e abito in provincia di Pordenone. Con la mia passione ho girato in lungo e in largo in cerca di fiumi per soddisfare il mio entusiasmo per la pesca a mosca in Austria e nei paesi dell'ex Jugoslavia.
Nella mia regione , il Friuli Venezia Giulia, una delle regioni più ricche d'acqua in Italia sono pochi i corsi d'acqua che non mi hanno visto all'opera.
Ho un debole per il temolo.
La cattura di questo timallide che è sicuramente il pesce più emblematico della pesca con la mosca artificiale con un carattere bizzarro e irrazionale, tale da farlo ritenere imprevedibile e senza logica. Tutto questo s'intende, riferito al comportamento nei confronti dell'accettazione o meno dell'artificiale che gli si propone.
"Pescatore di temoli per una volta, pescatore di temoli per sempre". Non so chi lo disse, ma aveva pienamente ragione.
Chi per la prima volta cattura un temolo con la mosca artificiale ed averne sentito la sua reazione, ne rimarrà talmente contagiato che ben difficilmente abbandonerà questa pesca ma troverà il modo di interessarsi ed appassionarsi a quello che può essere considerato il massimo traguardo per un pescatore a mosca.













domenica 19 luglio 2009

Presentazione

UNA CHIARA PREMESSA.

Si è scritto quasi tutto sulla pesca a mosca, la bibliografia mondiale sulla pesca a mosca: inglese, francese, americana, tedesca e italiana sono ricchissime di testi e manuali pieni di opinioni dette e ridette elaborate, commentate, che è difficile per chi si appresta a scrivere su un blog su questa disciplina, passione .....chiamatela come volete, ancora qualcosa di nuovo.
Quello che scriverò, è il frutto di un'esperienza oltre trentennale di questa disciplina e aiutato dallo spirito d'inventiva ed esperienza di ALTRI che, hanno dovuto sviluppare da soli i propri metodi ed esperienze molto prima di me.
Sono eternamente debitore nei confronti di queste persone, indipendentemente dalla qualità delle mie esperienze personali.
Il mio completamento informativo è stato fatto con LIBRI , RIVISTE SPECIALIZZATE e con INTERNET, riconoscendo che ogni scritto è un'esperienza di un pescatore a mosca e, se pur discutibile, ognuna di queste esprienze si è aggiunta alle mie, quelle che ho fatto e che farò direttamente sul fiume e davanti al morsetto di costruzione.

IL MIO BLOG

Questo blog è dedicato a coloro che dubitano.
A quelli che diffidano a priori della pesca a mosca.
Anch'io ero, molto tempo fa,uno di quelli accaniti pescatori che si dedicano alla pesca con esche naturali o al lancio leggero, e che considerano la pesca a mosca come un divertimento piacevole ed elegante, di solito coronato da un successo molto relativo.
Ma come mi sbagliavo! Ho dovuto ritrovarmi a spalancare gli occhi davanti ai risultati ottenuti da qualche vero pescatore a mosca per comprendere che questo tipo di pesca è il più micidiale di tutti.
Oggi, so perfettamente che il pescatore a mosca completo, che nulla ignora della mosca secca, della sommersa e della ninfa è in grado di catturare pesci dall'apertura alla chiusura della stagione e molto spesso dall'inizio alla fine della giornata.
Ma. sopratutto, ritenevo che la pesca a mosca fosse una pesca da snob, e, sicuramente, questa era la mia idea più sbagliata. Certo, i moscaioli non esitano a diventare dei puristi e tendono volentieri a identificarsi con l'èlite della pesca. Ma, in fondo, questo sentimento può essere considerato legittimo poichè è evidenteche la pesca amosca è il più elegante e anche il più difficile di tutti i sistemi di pesca con la canna.
Non offre mai dei risultati immediati e facili: il suo apprendimento esige volontà, perseveranza, umiltà e tutto questo è sufficente perchè la maggior parte di pescatori che ci prova ritorni ben presto ai sistemi che permettono di ottenere risultati più immediati. Ed è pur vero che coloro che perseverano sono i veri appassionati, quelli che comprendono che con la mosca non si desta meraviglia fra gente altrettanto pura, vera, tenace, così come è altrettanto vero che il cammino verso la conoscenza e la padronanza di questa tecnica di pesca è molto, molto lungo.
Ma ancor più che coloro che dubitano della pesca a mosca(in fondo, quanti sono veramente?), questo blog è dedicato a quelli che dubitano di se stessi.